Rete dei Comunisti
I venti di guerra infiammano tutto il Medio Oriente e non accennano a fermarsi neppure nel cuore d’Europa. Israele ha aperto un nuovo, pericolosissimo fronte attaccando l’Iran, mentre non accennano a terminare le operazioni militari russe nel cuore dell’Ucraina e le sempre più pericolose ritorsioni nel cuore del continente russo. Due dati che segnano il fallimento dei propositi dell’amministrazione Trump, costituitasi sulla promessa dell’imposizione della pace in entrambi i fronti.
Dietro le quinte dei motivi ufficiali (che pure hanno una loro rilevanza relativa), questi conflitti evidenziano l’esigenza da parte dell’imperialismo occidentale, in primis USA e UE, di risolvere manu militari una crisi che attanaglia da oltre un ventennio il loro sistema di relazioni economiche e politiche a livello planetario.
La crisi che stiamo osservando e subendo supera lo specifico dei singoli Stati, evidenziando come sia il meccanismo di fondo che fa funzionare l’intero sistema ad essere in crisi, cioè lo stesso Modo di Produzione Capitalistico, che si declina in forme specifiche paese per paese.
I sistemi produttivi tendono sempre più ad incepparsi a causa di una serie di fattori determinanti, come l’aumento sistematico dell’automazione, che riduce progressivamente la mano d’opera umana, il restringimento dei mercati di sbocco delle merci a causa della fortissima concorrenza determinata da paesi come la Cina, l’India, uniti da alleanze economiche (BRICS +) che tendono a scalzare l’unipolarismo dispotico occidentale, la riduzione del salario medio che contribuisce ad una diminuzione dei consumi nel cuore stesso dei paesi a capitalismo maturo. In questa vera e propria rapina di salario l’Italia ha il triste primato, con una diminuzione del potere d’acquisto che non ha eguali in tutto l’Occidente.
Tutto questo dipende dalle ricette economiche imposte da una Unione Europea che ha fatto dell’austerità contro i settori popolari la propria bandiera, e che oggi per tentare di risalire la china programma investimenti esorbitanti (800 miliardi di euro) nell’industria bellica, intraprendendo la strada del conflitto come via di uscita da una recessione economica che colpisce il cuore dell’economia continentale, a partire dalla Germania.
Per giustificare le politiche belliciste occorre rappresentare di fronte all’opinione pubblica un nemico da combattere, in questo caso la Russia putiniana. Una retorica e una prassi politico/militare che cadono clamorosamente di fronte ai due pesi e due misure rispetto al sostegno del genocidio in corso in Palestina.
Lo sciopero del 20 giugno promosso da USB e da altre sigle del sindacalismo conflittuale, la manifestazione nazionale del 21.6 a Roma contro la guerra e al fianco della Resistenza palestinese cadono in un momento centrale dello scontro in corso, rendendo concreto quello spazio politico indipendente ed alternativo al tentativo del cosiddetto “campo largo” di rifarsi una verginità dopo aver per oltre un ventennio gestito dagli scranni dei vari governi di centro sinistra le peggiori politiche guerrafondaie e antipopolari.
CON I LAVORATORI CHE SI FERMERANNO PER LO SCIOPERO DEL 20 GIUGNO CON I RESISTENTI CHE SCENDERANNO IN PIAZZA IL 21 GIUGNO IN PIAZZA VITTORIO
FERMARE LA MACCHINA BELLICA DELL’IMPERIALISMO OCCIDENTALE –
AL FIANCO DELLA RESISTENZA PALESTINESE – GIÙ LE ARMI SU I SALARI – SOCIALISMO O BARBARIE