Intervista a Vasapollo: “il socialismo andino non si è mai organizzato nella forma di partito della rivoluzione, e ciò ha favorito personalismi, burocratismo, scontri generazionali e quindi il ritorno della destra neoliberista, imperialista e razzista“
Salvatore Izzo
In Bolivia la sconfitta del MAS non può essere letta soltanto come un passaggio elettorale, ma rappresenta l’esito di un processo di lunga durata, iniziato con la rinuncia al passaggio dalla presa di governo alla vera presa del potere di classe attraverso la costruzione e il consolidamento del partito rivoluzionario; tale assenza determina e favorisce protagonismi personali ed anche la persecuzione giudiziaria e politica contro Evo Morales, il padre della Costituzione plurinazionale.
Morales, primo presidente indigeno del Paese, aveva avviato un cammino di emancipazione sociale e di affermazione della sovranità nazionale che lo ha reso un punto di riferimento per i popoli latinoamericani. Proprio per questo, come era accaduto ad altri leader progressisti della regione – da Rafael Correa in Ecuador a Lula e Dilma Rousseff in Brasile – si è abbattuta su di lui la macchina del lawfare, con accuse fabbricate e amplificate dai grandi centri di potere internazionale, a cominciare da Washington.
La persecuzione giudiziaria ha prodotto un indebolimento politico del MAS e lo smembramento della sua base unitaria, aprendo la strada a candidati di destra capaci di sfruttare le divisioni interne. Ma il segno lasciato da Morales rimane incancellabile: lo Stato Plurinazionale di Bolivia, con la sua nuova Costituzione indigena e popolare, resta la sua più grande eredità. Non a caso l’Università La Sapienza di Roma volle conferirgli la laurea honoris causa, “riconoscendo – ricorda Luciano Vasapollo, il decano di economia dell’ateneo romano e tra i promotori di quel riconoscimento – la grandezza di un leader che ha saputo dare voce a chi per secoli era stato relegato ai margini della storia”.
Professor Vasapollo, partiamo dal contesto storico. Cosa ha rappresentato Evo Morales per la Bolivia e per il progetto socialista latinoamericano?
Con la presidenza Morales e con la nuova Costituzione indigena il Paese aveva preso il nome – che speriamo rimanga – di Stato Plurinazionale di Bolivia. Dal 2005, con la sua prima vittoria, si era aperta una prospettiva di rivoluzione dell’indigenismo di classe antimperialista. Morales si richiamava non solo al pensiero di Tupac Amaru e Túpac Katari, ma anche al pensiero andino e a quel nesso tra socialismo e decolonialità che era stato portato avanti da Mariátegui. È un tema che io stesso ho approfondito in vari libri e articoli, mettendo in relazione Mariátegui, Gramsci, Martí, Bolívar e Che Guevara.
Evo Morales ha portato avanti questa sintesi, conquistando una dimensione internazionale come uomo di rottura e rivoluzionario, capace di costruire il suo progetto politico a partire dalle classi popolari: cocaleros, minatori, contadini e operai. Ha dato voce agli ultimi della terra.
Eppure oggi ci troviamo davanti a una sconfitta storica. Cosa è accaduto alle ultime elezioni?
Dopo vent’anni, il risultato è stato sconcertante: al ballottaggio accedono due candidati neoliberisti. Ritorna quindi la Bolivia dei padroni, delle multinazionali, degli Stati Uniti e dell’imperialismo. È una grande sconfitta per la sinistra, per i progressisti, per i democratici.
Noi siamo stati testimoni e anche attori di quel processo: abbiamo portato Evo Morales sette volte in Italia, lo abbiamo accolto all’Università La Sapienza con un dottorato honoris causa, lo abbiamo sostenuto politicamente insieme ai compagni di Cuba e Venezuela. Siamo stati accanto a lui anche dopo il colpo di Stato del 2019, che già aveva mostrato quanto gli interessi imperialisti puntassero a un Paese ricchissimo di oro, litio, coltan, gas e minerali ferrosi.
E c’è un problema di dibattito
Quali errori interni hanno indebolito il MAS?
Va detto che queste elezioni hanno avuto un deficit democratico: Morales non ha potuto candidarsi, vittima di un’interpretazione strumentale della Costituzione e di una persecuzione giudiziaria. Tuttavia, non possiamo negare che il MAS abbia conosciuto un arretramento politico e sociale.
Si è formata una sorta di aristocrazia burocratica che ha pensato più ai propri privilegi che a rappresentare i subalterni. Inoltre, Andronico Rodríguez non ha compreso l’importanza di un’alleanza con Evo Morales. Questa divisione ha portato il MAS a risultati disastrosi: 3% per Morales, 8% per Andronico. A ciò si aggiunga l’altissimo numero di schede bianche e nulle (22%), che riflette anche la campagna astensionista dei sostenitori di Morales.
E quanto ha pesato la gestione del presidente Arce negli ultimi anni?
Molto. Durante Morales la Bolivia cresceva più di gran parte dell’America Latina, mentre sotto Arce il Paese è precipitato in una grave crisi economica. In mancanza di soluzioni, il governo ha aumentato la repressione non solo contro Morales, ma anche contro i leader sociali.
Questo ha segnato la fine del ciclo costituente iniziato con la Costituzione del 2006. Oggi assistiamo a una fase di decadenza, con il ritorno in forze del neoliberismo.
Al di là delle questioni economiche e organizzative, c’è anche un problema di divisione interna e personalismi?
Sì, purtroppo. Vecchi e nuovi leader del MAS sono entrati in conflitto tra loro, anche a livello personale per assenza di un vero partito rivoluzionario che se ben costruito esprime egemonia di classe e abbatte ogni forma di protagonismo personale che si instaura e rafforza anche quando la capacità
politica di direzione là si vuol misurare con una folle logica impolitica sulla età biologica come si trattasse non di espressione dirigente ma di questioni generazionali. C’è stata competizione di autorappresentazione personalistica e non collettiva e incapacità di sintesi politica tra funzioni di direzione di partito tra generazioni diverse. È l’ assenza della forma partito socialista rivoluzionario con le sue funzioni di indirizzo il vero elemento che ha contribuito alla sconfitta, e quindi non basta e a poco serve spiegarla solo con i personalismi.
Quindi come interpreta, in ultima analisi, questa sconfitta?
Non è la sconfitta di un uomo o di un gruppo, ma di un intero progetto se viene meno la radicalità di classe. Se un movimento socialista rinuncia alla sua vocazione rivoluzionaria e si adagia nella mediazione istituzionale, scivola inevitabilmente nel burocratismo. E il burocratismo significa tradire le istanze delle classi popolari.
Il socialismo può assumere forme diverse: quello cubano, quello sandinista, quello bolivariano venezuelano, quello comunitario andino della Bolivia. Ma ciò che non si può abbandonare è la radicalità antimperialista, il contrasto netto alle multinazionali, il passaggio dal governo al potere reale con il protagonismo dei subalterni.
Ogni volta che la sinistra rinuncia a questo, la storia ci mostra che arriva la sconfitta.
Morales aveva come base elettorale cocaleros, minatori, contadini e operai. Ha dato voce agli ultimi della terra ma non ha sviluppato organizzazione rivoluzionaria attraverso il ruolo del partito come strumento di direzione, indirizzo e controllo per il potere di classe.
In buona sostanza emerge anche in Bolivia un problema di dibattito che coinvolge tutta la sinistra di classe e lo vediamo dappertutto in Europa in Italia dappertutto se non c’è una vera analisi rivoluzionaria de coloniale indirizzata dal partito che sappia svolgere ruolo di egemonia politica e culturale per la presa del potere il governo del potere di classe si finisce male.
Guardiamo la fine che hanno fatto Syriza in Grecia, Rifondazione comunista in Italia, Podemos in Spagna: laddove i partiti che nascono con idee rivoluzionarie si contaminano e si fanno assorbire dal burocratismo e dalla mediazione politica istituzionale, trasformando il loro progetto e il loro fine strategico rivoluzionario in una transizione social riformista o peggio social-liberista , allora sfuma ogni possibilità a carattere rivoluzionario e si trasforma in sconfitta storica e ritardi incalcolabili per il divenire storico rivoluzionario. È accaduto anche in Bolivia, dopo che in Ecuador, e in tante esperienze social progressiste del Sud America, ed è successo così anche in altre parti, anche in Occidente; insomma la sconfitta del MAS è un monito anche agli italiani e agli europei per non cadere nella confusione spesso voluta fra strategia e tattica rivoluzionaria, facendo sì che le tattiche diventino strategie di entrismo nelle compatibilità capitaliste anche se addolcite dal falso racconto social liberista.
S.I.