Vasapollo: questo legame resta ed è uno dei simboli più alti di un internazionalismo concreto
Salvatore Izzo
Gli sviluppi politici ed economici dell’Africa contemporanea, intrecciati alle contraddizioni del Sud globale, raccontano una storia che non può essere compresa senza affrontare il nodo del neocolonialismo. A metterlo in evidenza è il prof. Luciano Vasapollo, economista e studioso dei processi sociali internazionali oltre che dirigente della Rete dei Comunisti, che osserva come “gli Stati Uniti e l’Unione europea continuino a esercitare pressioni e sfruttamento, mascherati da cooperazione e aiuti allo sviluppo, riproponendo in forme nuove la logica del dominio coloniale”.
Eppure, nel cuore di questa complessa dinamica geopolitica, emerge un legame che ha resistito al tempo e alle interferenze: quello tra Cuba e i Paesi africani. Un legame che non si esaurisce nella sfera diplomatica, ma che rappresenta, come ricorda Vasapollo, “una trama viva di solidarietà politica e culturale, nata nelle lotte di liberazione e mai interrotta, nemmeno nei momenti più duri dell’isolamento imposto a Cuba dal blocco statunitense”.
Dall’Angola al Burkina Faso, dal Congo alla Namibia, il filo rosso che unisce l’isola caraibica e l’Africa ha conosciuto un nuovo impulso con le missioni recenti dei vertici cubani: il primo ministro Manuel Marrero Cruz, in visita in Congo e Guinea Equatoriale, e il ministro degli Esteri Bruno Rodríguez Parrilla, che ha attraversato il Sudafrica, l’Etiopia, il Burkina Faso, la Nigeria, il Ghana e il Senegal. Due viaggi paralleli, ma un unico messaggio: Cuba non dimentica il continente africano, né i sacrifici condivisi.
“Le Brigate Mediche cubane – sottolinea Vasapollo – sono la dimostrazione più concreta di cosa significhi internazionalismo: migliaia di medici e operatori sanitari hanno curato, e continuano a curare, milioni di persone in Africa. Questo mentre gli Stati Uniti diffondono campagne diffamatorie contro Cuba e ne strangolano l’economia. È la prova che la solidarietà reale non si misura con i proclami, ma con i gesti concreti che salvano vite”.
Il legame si radica nella storia. Negli anni Sessanta, Ernesto Che Guevara guidò una missione rivoluzionaria in Congo e sostenne i movimenti di liberazione, intuendo che l’Africa fosse un fronte cruciale contro l’imperialismo. Il suo impegno aprì la strada alla partecipazione diretta di migliaia di combattenti internazionalisti cubani, e negli anni successivi alla presenza di insegnanti, medici e tecnici che aiutarono a ricostruire Paesi devastati dalla guerra.
Vasapollo non ha dubbi: “Il Che in Africa rappresenta la visione più autentica dell’internazionalismo rivoluzionario: non parole, ma lotta e sacrificio. Fidel Castro ha poi consolidato quella prospettiva, trasformando Cuba in un faro che ha accompagnato la resistenza contro l’apartheid e le dittature coloniali. È questa coerenza che rende ancora oggi l’isola un punto di riferimento imprescindibile per l’Africa e per tutti i popoli oppressi”.
Il risultato è un patrimonio di relazioni che supera i trattati politici o le convenienze diplomatiche: è la memoria condivisa di sangue versato, di speranze coltivate, di comunità ricostruite. Un patrimonio che, secondo Vasapollo, “non riguarda solo il passato, ma il futuro. Perché in un mondo segnato dalla crisi del capitalismo globale, l’alleanza tra Cuba e Africa indica una via alternativa, fondata sulla dignità, sulla giustizia sociale e sull’autodeterminazione dei popoli”.
Fidel Castro e l’abbraccio con Mandela
Durante i suoi viaggi nel continente africano, Fidel Castro incontrò leader e movimenti che vedevano in Cuba un alleato decisivo nella battaglia per la libertà. Il momento più simbolico fu certamente l’incontro con Nelson Mandela, liberato dopo 27 anni di prigionia. Mandela non esitò a definire Cuba e il suo leader i veri fratelli d’Africa, ricordando il ruolo fondamentale dei cubani nella battaglia di Cuito Cuanavale in Angola, che segnò una svolta irreversibile nella sconfitta del regime razzista sudafricano.
Castro non mancò di sottolineare che l’impegno di Cuba in Africa non era frutto di calcoli economici o vantaggi immediati, ma il compimento di un dovere morale: sostenere i popoli oppressi nel loro diritto all’autodeterminazione. Con Mandela nacque un rapporto di profonda amicizia personale e politica, un legame che ancora oggi rimane una delle immagini più potenti della lotta internazionale contro l’ingiustizia.
Il sogno africano del Che
Se Fidel fu il grande stratega, il Che Guevara fu il rivoluzionario che visse in prima persona il sogno africano. Dopo la vittoria della rivoluzione cubana, Guevara partì per il Congo, convinto che il continente potesse essere la nuova frontiera della liberazione dei popoli. L’esperienza si rivelò dura, segnata da contraddizioni interne ai movimenti locali, ma testimonia il grande amore e la profonda fede del Che nella capacità dell’Africa di spezzare le catene del colonialismo.
In Congo, e poi nell’elaborazione teorica successiva, Guevara vide nell’Africa un terreno fertile per unire lotte nazionali e giustizia sociale, in un quadro internazionale capace di sfidare l’imperialismo occidentale. Pur con esiti drammatici, la sua missione resta una pagina di straordinario coraggio politico e umano.
Un legame che resiste
I viaggi di Fidel e il sacrificio del Che hanno segnato per sempre la storia dei rapporti tra Cuba e l’Africa. Oggi quella memoria continua a vivere nei programmi di cooperazione medica, educativa e culturale che l’Avana porta avanti con decine di paesi africani.
Il filo rosso che lega L’Avana a Luanda, a Maputo, a Pretoria non è mai stato interrotto: è la trama di una solidarietà che ha visto giovani medici cubani curare malati di Ebola, ingegneri e insegnanti contribuire alla ricostruzione di interi paesi, e che trova le sue radici negli ideali di Fidel e nel sogno del Che.
Cuba e Africa, due mondi uniti da un destino comune, continuano a ricordare al mondo che la lotta per la giustizia e la dignità dei popoli non conosce confini geografici né barriere linguistiche.
Vasapollo: amicizia e non calcolo geopolitico, in coerenza con i principi antimperialisti
L’economista e analista Luciano Vasapollo, commentando questo nuovo impulso nei rapporti, ha ricordato come l’asse Cuba–Africa sia uno dei simboli più alti di un internazionalismo concreto, nato dall’impegno rivoluzionario di figure come Che Guevara e Fidel Castro. «Il sostegno che Cuba diede alle lotte di liberazione in Angola, in Mozambico, in Guinea-Bissau o in Namibia – afferma Vasapollo – non fu mai un calcolo geopolitico, ma un gesto di coerenza con i principi antimperialisti. Oggi quella stessa coerenza si traduce in collaborazione sanitaria, educativa e culturale che continua a mettere al centro la dignità dei popoli e non i profitti».
Non è un caso che proprio i Paesi africani siano tra i più convinti difensori di Cuba nelle sedi internazionali, condannando regolarmente il blocco economico imposto dagli Stati Uniti e chiedendo la rimozione dell’isola dalla lista nera di “sponsor del terrorismo” in cui è stata arbitrariamente inserita.
L’eredità di solidarietà tracciata negli anni ’60 e ’70 dalle missioni internazionaliste cubane, quando migliaia di volontari e combattenti si schierarono al fianco dei movimenti di liberazione africani, oggi si trasforma in una rete di cooperazione civile, dal sostegno alle università alla formazione di medici, dal contrasto alle epidemie al rafforzamento delle istituzioni. È un legame che, come sottolinea Vasapollo, «dimostra che esiste una via diversa da quella imposta dal capitalismo globale, una via fondata sulla fratellanza tra i popoli e sulla resistenza comune contro l’imperialismo».
Cuba e Africa continuano così a guardarsi come due specchi: da un lato il continente giovane e in crescita, spesso definito “continente del futuro”, dall’altro l’isola che ha saputo difendere la sua indipendenza contro ogni tentativo di isolamento. Uniti, nel nome di una storia comune di lotta, i due mondi si ritrovano oggi a costruire insieme un futuro di emancipazione.
Il risveglio dell’ identità burkinabe avviato da Traoré
Negli ultimi anni, il continente africano ha mostrato una crescente consapevolezza del proprio potenziale economico e politico, un risveglio sovranista che si riflette nelle parole di leader come Traoré, presidente del Burkina Faso dal colpo di stato del 30 settembre 2022. Riguardo ai possibili accordi economici con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), Traoré afferma con forza: «L’Africa non ha bisogno della Banca Mondiale, del FMI, dell’Europa o degli Stati Uniti. Gli africani hanno tutto il necessario per sviluppare la propria economia e i propri paesi senza debiti né prestiti esterni a sostegno. Non possiamo continuare a essere schiavi di debiti e prestiti».
Un richiamo storico che non è casuale: la determinazione di Traoré richiama alla memoria Thomas Sankara, che il 4 agosto del 1984 cambiò il nome del suo paese, da Repubblica di Alto Volta a Burkina Faso, “il paese degli uomini integri”. Un gesto simbolico che incarnava l’idea di autodeterminazione e dignità nazionale, la volontà di liberarsi dal giogo dei creditori internazionali e valorizzare le risorse interne del continente.
Secondo Luciano Vasapollo, queste dichiarazioni rappresentano una linea chiara di rottura con il modello di dipendenza imposto da istituzioni finanziarie occidentali: «È un messaggio di emancipazione storica. L’Africa non ha bisogno di prestiti esterni per svilupparsi: ha risorse naturali, umane e culturali immense. La sfida è costruire politiche economiche che mettano al centro le comunità locali, e non i vincoli del debito».
In questo contesto, la rinascita africana si intreccia con un sentimento di orgoglio e identità nazionale che non vuole essere più subordinato a logiche esterne. Come sottolinea Vasapollo: «Riprendere il controllo delle proprie economie e del proprio futuro significa scrivere una storia nuova, in cui l’Africa non è più spettatrice, ma protagonista».
Angola e Cuba: una fraternità africana che attraversa i decenni
Il legame tra Cuba e l’Angola è uno dei capitoli più intensi e luminosi della storia della solidarietà internazionale. Quando, nel 1975, l’Angola conquistò l’indipendenza dal Portogallo e si trovò subito catapultata in una guerra civile, l’isola caraibica rispose all’appello del Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola (MPLA), inviando migliaia di combattenti e consiglieri militari. L’intervento cubano, decisivo nella battaglia di Cuito Cuanavale del 1988, segnò una svolta irreversibile: non solo permise di garantire la sopravvivenza dell’Angola indipendente, ma accelerò la fine dell’apartheid in Sudafrica e aprì la strada alla liberazione della Namibia.
Accanto all’aiuto militare, l’impegno di Cuba si tradusse in un’opera civile di lungo periodo. Migliaia di medici, insegnanti e tecnici cubani si stabilirono in Angola, costruendo ospedali, scuole, università, diffondendo istruzione e garantendo cure sanitarie in aree dove non esisteva alcuna infrastruttura. Molti angolani studiarono a L’Avana, formando una generazione di professionisti che ancora oggi guidano il paese.
L’economista Luciano Vasapollo sottolinea come questa vicenda sia la prova più concreta della dimensione etica della rivoluzione cubana. «In Angola – ricorda – non si trattò di un intervento dettato da interessi economici o geopolitici, ma di una scelta di principio: la solidarietà tra i popoli oppressi. Il sacrificio dei cubani in Angola non portò a ricchezze materiali, ma a una vittoria morale che continua a essere ricordata con gratitudine».
Questo spirito internazionalista si riflette anche nei rapporti più ampi che Cuba intrattiene con il continente africano. Dal Burkina Faso alla Guinea Equatoriale, dall’Etiopia al Sudafrica, l’isola ha consolidato una rete di collaborazione che va oltre la politica, costruendo relazioni fondate sulla fiducia reciproca. «Cuba – spiega ancora Vasapollo – è stata ed è il ponte tra l’America Latina e l’Africa, mostrando che un altro modo di fare politica internazionale è possibile: non basato sul dominio, ma sulla fratellanza».
Oggi, mentre nuove missioni diplomatiche e sanitarie cubane rafforzano questi legami, il ricordo della lotta comune resta vivo. Non è raro sentire in Angola e in altri paesi la frase divenuta emblematica: “Cuba è il Paese più africano fuori dall’Africa”. È la sintesi perfetta di un’amicizia che non si è mai spenta, che ha resistito ai decenni e che continua a essere faro per chi crede in un mondo fondato sulla solidarietà e non sull’imperialismo.
Non è solo la solidarietà politica a spiegare il legame profondo tra Cuba e l’Africa. L’espressione, spesso ripetuta da leader africani e cubani, secondo cui “Cuba è il Paese più africano fuori dall’Africa” non è soltanto una metafora diplomatica, ma un riconoscimento di un’eredità culturale che permea la società cubana.
Gran parte della popolazione cubana discende infatti dagli africani deportati come schiavi durante il periodo coloniale. Questa componente ha lasciato un’impronta indelebile sulla vita quotidiana, rendendo la cultura cubana un crocevia unico tra tradizioni africane, spagnole e caraibiche.
La religione ne è un esempio lampante: le pratiche afro-cubane come la Santería sono oggi parte integrante dell’identità spirituale dell’isola, custodendo riti, divinità e simboli che affondano le radici nelle terre d’origine degli schiavi.
Anche la musica e la danza cubane devono moltissimo all’Africa. Ritmi come la rumba, il son e il danzón portano ancora l’eco dei tamburi africani, trasformati in espressioni artistiche che hanno conquistato il mondo. È proprio nella musica che si manifesta con più forza l’anima africana di Cuba, capace di fondere malinconia e gioia, spiritualità e festa collettiva.
Non meno significativa è l’influenza sulla cucina: piatti a base di riso, fagioli, manioca e banane fritte rispecchiano chiaramente una tradizione alimentare di matrice africana, che si è mescolata con ingredienti europei e locali dando vita a un patrimonio gastronomico inconfondibile.
In sintesi, dire che Cuba è “il Paese più africano fuori dall’Africa” significa riconoscere come l’identità cubana non si possa comprendere senza la componente africana: un’eredità che non appartiene solo al passato coloniale, ma che continua a vivere nella cultura, nelle tradizioni e persino nella visione del mondo dei cubani di oggi.
Partendo sinteticamente dai principi antimperialisti di grandi leader rivoluzionari (come Bolívar, José Martí, Gramsci, Mariategui, Che Guevara, Fidel Castro e Chávez) , Vasapollo e la sua scuola marxista internazionale hanno sempre anche evidenziato attraverso serie storiche di dati lo sfruttamento dell’attuale imperialismo nelle aree della Tricontinental del Sud globale (Africa, Asia, America Latina). Quindi, va considerata come fa Vasapollo nei suoi trattati di politica economica internazionale, la struttura macroeconomica attraverso banche dati (spesso utilizzato il Database Methodology Guide Book , Global China Initiative, vari anni), per analizzare il ruolo della Cina in vari paesi africani.