Vasapollo: “Il protezionismo è una maschera dell’ipercompetizione tra potenze imperialiste”
Irina Smirnova – Faro di Roma
In un’epoca in cui la globalizzazione sembrava dover azzerare le barriere commerciali, i Dazi sono tornati prepotentemente al centro del dibattito. Spesso giustificati come strumenti di difesa nazionale o protezione dell’economia locale, in realtà nascondono – o rivelano – molto di più. In particolare, il loro utilizzo strategico da parte delle grandi potenze globali li trasforma sempre più in un moderno strumento di neocolonialismo.
[Irina Smirnova – Faro di Roma] Vasapollo: “Il protezionismo è una maschera dell’ipercompetizione tra potenze imperialiste” In un’epoca in cui la globalizzazione sembrava dover azzerare le barriere commerciali, i Dazi sono tornati prepotentemente al centro del dibattito. Spesso giustificati come strumenti di difesa nazionale o protezione dell’economia locale, in realtà nascondono – o rivelano – molto di più. In particolare, il loro utilizzo strategico da parte delle grandi potenze globali li trasforma sempre più in un moderno strumento di neocolonialismo. Durante una conferenza tenuta all’USB di Roma, il professor Luciano Vasapollo, decano di Economia alla Sapienza di Roma, ha offerto una lucida e tagliente analisi dei meccanismi che regolano la politica commerciale globale
Il prof. Vasapollo ha analizzato le dinamiche del capitalismo globale, evidenziando come le politiche imperialiste influenzino negativamente le condizioni dei lavoratori e dei popoli, ed ha sottolineato l’importanza della solidarietà tra i popoli, citando esempi di resistenza e alternative al modello capitalistico in America Latina, come il concetto di “Buen Vivir” ed ha enfatizzato l’importanza dell’educazione critica e dell’informazione come strumenti fondamentali per la costruzione di una coscienza collettiva e per promuovere il cambiamento sociale.
“La questione del protezionismo, la questione della politica commerciale, si inserisce pienamente nella competizione interna al capitalismo, una competizione che – soprattutto tra potenze imperialiste – accompagna da sempre il colonialismo”, ha dichiarato Vasapollo. “Oggi si parla di ipercompetizione, ma spesso si usano parole come ‘globalizzazione’ per nascondere la realtà: quella di un’economia resa sempre più difficile da comprendere e affrontare per lavoratori, operai e studenti”.
I dazi, in teoria, dovrebbero servire a difendere la produzione interna da una concorrenza estera sleale o eccessiva. Ma nella pratica, chi può davvero permettersi di usarli? Non certo i paesi più poveri, che dipendono dalle esportazioni e non hanno la forza economica per imporre controdazi efficaci. Le grandi potenze – come Stati Uniti e Unione Europea – hanno invece il potere di colpire selettivamente e difendersi a piacimento, usando i dazi come una clava geopolitica. In questo modo, i rapporti commerciali diventano profondamente asimmetrici: chi è forte può decidere le regole del gioco, chi è debole deve adattarsi. Non è molto diverso da ciò che accadeva nei secoli passati, quando le colonie fornivano materie prime e compravano prodotti finiti dall’Europa industriale. Solo che oggi, il dominio si esercita con strumenti diversi.
Per comprendere l’attuale fase di conflitto economico globale, secondo Vasapollo, bisogna risalire agli anni Ottanta e Novanta: “In quegli anni, per uscire da una crisi che noi avevamo già definito sistemica del capitale, si è scelto di puntare tutto sulla globalizzazione finanziaria e neoliberista.”
“Attenzione, la globalizzazione – ha avvertito il docente – non è una novità: l’Impero romano era già globalizzato, basta guardare l’estensione dei suoi rapporti commerciali. La vera novità è la trasformazione del liberismo classico in neoliberismo, sulla scia della scuola di Chicago e di Friedman. Il neoliberismo è semplicemente un liberismo senza Stato, o meglio, con uno Stato che smette di essere interventista per diventare privatizzatore selvaggio.”
Un punto centrale del suo intervento è stata la distinzione tra profitto e rendita: “La finanza non nasce oggi, ma nella globalizzazione neoliberista diventa strumento per supplire a un tasso di profitto in caduta. Marx parlava già della tendenza alla caduta del saggio di profitto: la massa dei profitti può aumentare, ma il tasso – cioè la percentuale di profitto rispetto al capitale investito – diminuisce.”
“La speculazione finanziaria,” ha spiegato, “non genera profitto, bensì rendita. E la rendita nasce al di fuori del ciclo produttivo: non produce, ma si appropria di valore. Questa è la vera trappola del neoliberismo.”
Un esempio eloquente riguarda l’Africa subsahariana. L’Unione Europea impone dazi elevati sui prodotti trasformati – come cacao lavorato o conserve di frutta – ma non sulle materie prime grezze. Questo significa che per i produttori africani non conviene sviluppare industrie locali: esportare prodotti finiti costerebbe troppo. Risultato? I paesi africani restano relegati al ruolo di fornitori di materie prime, incapaci di costruire filiere industriali e dipendenti dalle tecnologie e dai mercati occidentali. Non si tratta solo di commercio, ma di una precisa gerarchia economica che blocca ogni tentativo di emancipazione produttiva. È il neocolonialismo nella sua versione più elegante e meno appariscente.
L’ipocrisia è evidente quando si guarda al comportamento delle grandi potenze: da un lato si ergono barriere doganali per difendere il proprio mercato, dall’altro si impongono ai paesi in via di sviluppo accordi di “libero scambio” che li privano degli stessi strumenti. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, ad esempio, spesso condizionano i loro prestiti all’eliminazione dei dazi locali, in nome dell’apertura ai mercati. In sostanza, loro si proteggono, gli altri devono aprirsi. È una versione moderna del “libero commercio” ottocentesco: libero solo per chi comanda.
Le conseguenze sono devastanti per i paesi più deboli: perdita di competitività, chiusura di fabbriche, disoccupazione, aumento del debito. In molti casi, i governi sono costretti a chiedere aiuto alle stesse istituzioni internazionali che li hanno messi in ginocchio, entrando in un circolo vizioso di dipendenza e riforme imposte. E quando il sistema collassa, si parla di crisi economiche, mai di colonialismo. Eppure, il principio è lo stesso: qualcuno detta le condizioni, qualcun altro le subisce.
“I dazi, allora – ha spiegato Vasapollo – non sono solo strumenti economici. Sono anche leve politiche, armi di potere, mezzi per mantenere il controllo su un ordine mondiale profondamente squilibrato. Chiamarlo neocolonialismo non è un eccesso retorico, ma una semplice constatazione”.
Nel suo intervento, Vasapollo non ha risparmiato critiche all’attuale classe politica italiana, evidenziando la superficialità con cui vengono affrontati temi fondamentali come il debito pubblico e lo spread: “Abbiamo politici che non conoscono nemmeno i fondamenti dell’economia. In televisione ho sentito la Meloni spiegare lo spread. Ha detto che i nostri Btp vanno meglio di quelli tedeschi. Una sciocchezza che ha fatto impallidire persino il ministro Giorgetti: anche quando vogliono imbrogliare non sanno nemmeno come farlo bene”.