La straordinaria inefficacia dell’antiberlusconismo nel paese della borghesia senza capitalismo
in Contropiano Anno 18 n° 1 – 16 febbraio 2010
L’errore che viene ripetuto continuamente da quindici anni a questa parte, è quello di pensare che la causa della melma politica, morale e materiale in cui sta a ffondando il paese, abbia come unico responsabile Berlusconi e il suo modello di verticalizzazione plebiscitaria del potere. In realtà questa situazione, in cui a fronte della crisi nulla si intravede sul piano del cambiamento politico (neanche nel senso di un capitalismo moderno), è il risultato di una complessità del “sistema Italia” sul quale è tempo che si cominci a ragionare più seriamente e su cui trarre indicazioni utili per l’azione politica della sinistra di classe.
La cronaca di queste settimane ci consegna il verminaio scoperchiato con la vicenda degli appalti della Protezione Civile. La connessione tra potere, affarismo, degrado morale non dovrebbero essere però una novità in un paese che ha visto crescere in anno del 229% i casi di corruzione e del 153% quelli di concussione [1]. Eppure la società sembra ormai riuscire a metabolizzare anche tutto questo, anzi, continua a ritenere che Berlusconi sia una soluzione alternativa alla putrescenza di un sistema che si ritiene in transizione dalla prima alla seconda repubblica proprio attraverso la fustigazione del malaffare e delle sue connessioni con la rappresentanza politica. Come impatta, dunque, questo senso comune con le conseguenze sociali di una crisi economica che potrebbe cambiare rapidamente la mappa del mondo e di conseguenza anche quella del nostro paese?
Fare i conti con l’arretratezza del “sistema Italia”
Secondo alcuni analisti, l’arretratezza del sistema Italia è stata la sua fortuna di fronte all’esplosione della dimensione finanziaria della crisi. “Il risparmio delle famiglie, la tradizionale riluttanza delle banche alla erogazione del credito, un sistema bancario composto anche e per fortuna da piccoli istituti legati al territorio e poco avvezzo alla proiezione internazionale, un sommerso calcolato in circa il 35% del PIL ufficiali…hanno svolto una funzione di ammortizzatore della crisi” scrive la prefazione del recente rapporto dell’Eurispes, per molti aspetti meno riguardoso di altri studi ufficiali [2]. A fianco di questa fotografia – che contiene alcuni elementi di verità – occorre aggiungere quella sulle caratteristiche del sistema delle imprese in Italia.
Dimensione imprese | Numero imprese |
Grandi (+ di 500 addetti) | 2.026 |
Medie (200-499 addetti) | 3.561 |
Medie-piccole (50-199 addetti) | 28.277 |
Piccole (meno di 49 addetti) | 3.838.933 |
La polverizzazione imprenditoriale, unita a quelli che l’Eurispes definisce come paradossali ammortizzatori sociali, fotografano una arretratezza del sistema Italia che fa inorridire i teorici del capitalismo ma che introduce nella società comportamenti sociali e ideologici conseguenti.
Affarismo e “uomini della provvidenza ”
E’ evidente come dentro questa polverizzazione di impresa (che produce e convive appunto con un 35% del PIL attraverso il sommerso), fattori come la corruzione, la concussione, l’evasione fiscale, la concorrenza sleale non possono che essere la norma e non l’eccezione. Poggia su questo “senso comune” della parte attiva dell’economia italiana buona parte del consenso nel blocco sociale berlusconiano oggi dominante.
L’egemonia di questo blocco sociale si esercita anche sulla visibile crisi dei ceti medi, brutalmente polarizzati prima dalla destrutturazione degli anni precedenti e poi dalla crisi. Il senso di insicurezza infatti opprime molto di più chi ha visto perdere status sociali acquisiti piuttosto che chi deve arrancare dal basso della scala sociale per cercare di affermare le proprie esigenze.
Questa base materiale convive e produce elementi ideologici, da quelli peggiori come il razzismo contro gli immigrati a quelli apparentemente più innocui (il 55,8% degli italiani crede ai miracoli e il 51,3% crede fermamente alla conciliabilità tra fede e scienza).
Questo contesto di affarismo a tutto campo e di disponibilità agli “uomini della provvidenza”, vede affermarsi la rappresentanza politica dei “prenditori” svelati dalle inchieste giudiziarie sugli appalti o sulle scatole cinesi incentivate esponenzialmente dalle modifiche introdotte dalla Legge Biagi alla cessione dei rami d’azienda. Un sistema televisivo conseguente consente poi di far convergere su questi interessi materiali anche il senso comune di vasti settori popolari, spazzando via l’identità politica sempre più debole della sinistra. Emblematico è il fatto che “uomini della provvidenza” – vedi il caso Ve ndola – vengono ormai attesi e celebrati anche a sinistra, alimentando così il binomio individualismo-plebiscitarismo che fa piazza pulita di ogni istanza collettiva di cambiamento.
La straordinaria inefficacia dell’antiberlusconismo
In tale contesto, i richiami all’etica e alla correttezza costituzionale, appaiono straordinariamente inefficaci se non preceduti e affiancati da una azione politica che identifichi concretamente gli interessi materiali e i soggetti sociali che contro questo senso comune hanno una sfida da giocare.
La Fiat che scappa dall’Italia per adeguarsi alla sua dimensione multinazionale, non solo segna la fine di un’epoca ma è forse l’immagine più nitida di un paese dominato ormai da una borghesia senza capitalismo. Si capisce ormai chiaramente come i poteri forti tradizionali, quelli che vorrebbero Montezemolo come alternativa a Berlusconi [3], non riescono più ad esercitare la loro influenza sulla società. E si capisce così anche la debolezza del PD e della leadership di Bersani – che pure tra i poteri forti ha molti estimatori [4].
In questi quindici anni, i poteri forti hanno cercato più volte di giocare carta della cooptazione dei lavoratori e le loro rappresentanze politiche e sindacali (dai Ds alla Cgil) contro il blocco sociale berlusconiano. I governi Amato, Ciampi e i due governi Prodi e la collaborazione con questi delle forze della sinistra a tutti i livelli (dalla concertazione sindacale alla partecipazione diretta agli esecutivi) hanno devastato e depotenziato ogni tenuta e ricostruzione di un blocco sociale antagonista e indipendente verso gli interessi del capitalismo. L’antiberlusconismo declinato in tutti i modi – come abbiamo visto in questi anni – si è rivelato di una inefficacia straordinaria, al contrario, ne ha rafforzato l’egemonia sulla società. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. E’ urgente che le residuali forze della sinistra alternativa si liberino al più presto di questo t i c e si sottraggano al sistematico “richiamo della foresta” che le ha portate al logoramento e alla crisi che è ormai sotto gli occhi di tutti.
La variabile che può scompaginare un quadro non certo allettante, sono indubbiamente gli effetti sociali della crisi economica che difficilmente gli “ammortizzatori sociali occulti” potranno diluire o manipolare ancora a lungo. Occorre ripartire da questa consapevolezza per ritracciare una prospettiva politica effettivamente indipendente sia sul piano della rappresentanza che su quello della ricomposizione dei settori interessati al conflitto sociale. Dentro questo consapevolezza sta la funzione possibile dei comunisti nell’Italia del XXI° Secolo. Su questo intendiamo riaprire il confronto politico nei prossimi mesi.
Note
[1] ↑ Rapporto annuale della Corte dei Conti, febbraio 2010
[2] ↑ Rapporto Eurispes “L’Italia tra memoria, conflitto e progetto”, 29 gennaio 2010
[3] ↑ L’editoriale di Affari e Finanza dell’11 gennaio, riprendendo un sondaggio dell’Espresso, tira esplicita mente la volata a Montezemolo come candidato premier per sconfiggere Berlusconi
[4] ↑ “Bersani. Ecco il tavolo dei suoi poteri forti ” , in Corriere Economia del 9 novembre 2009
CREDITS
Immagine in evidenza: SILVIO GANGSTA STYLE
Autore: Roberto Rizzato 10 dicembre 2012
Licenza: Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0)
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