Secondo Vasapollo, “testimonia che la giustizia sociale è la via per la pace. Washington semina guerra, i popoli chiedono dignità e il Sud del mondo non ha bisogno di militarizzazione ma di speranza”
Rita Martufi e Salvatore Izzo
Il Venezuela, patria di Simón Bolívar e della rivoluzione chavista, è da oltre vent’anni nel mirino delle potenze imperialiste e delle oligarchie locali. Dalla presidenza di Hugo Chávez fino all’attuale guida di Nicolás Maduro, ogni tentativo di riscatto sociale e indipendenza energetica è stato ostacolato da colpi di Stato, sanzioni, guerre economiche e campagne mediatiche.
“Eppure – sottolinea il prof. Luciano Vasapollo, decano di economia alla Sapienza e dirigente nazionale della Rete dei Comunisti – nonostante l’assedio, la rivoluzione bolivariana ha saputo resistere, garantendo diritti sociali prima impensabili, consolidando legami internazionali e rappresentando un faro di speranza per i popoli del Sud del mondo”.
Secondo Vasapollo, “o si inquadra l’attacco al Venezuela nel contesto più ampio dei conflitti tra le grandi potenze e del conflitto inter-imperialista, oppure se ne perde completamente il senso.
Mi spiego meglio: la crisi internazionale di egemonia degli Stati Uniti e la debolezza del dollaro hanno scatenato un conflitto aperto, anche se sotterraneo, tra gli USA e l’Unione Europea. Gli Stati Uniti, con il loro enorme debito e la dipendenza dalle importazioni, hanno un bisogno disperato di risorse naturali come petrolio, gas e litio per affrontare la loro crisi economica. Hanno provato a ottenerle in Medio Oriente e a giocare un ruolo di mediazione in Ucraina, ma si sono scontrati con delle difficoltà. In Medio Oriente, Israele vuole il controllo totale e non lascia spazio a nessuno, nemmeno agli USA. In Ucraina, l’Unione Europea vuole le terre rare e non intende cedere.
Ecco perché l’attacco al Venezuela deve essere visto come parte di un assalto più ampio al Sud Globale, e in particolare all’America Latina, per accaparrarsi le sue ricchezze. Il Venezuela, in questo senso, diventa un campo di battaglia per il controllo di queste risorse”.
Dunque, “se non capiamo che la questione tra Stati Uniti e Venezuela si inserisce nel quadro di una guerra inter-imperialistica, rischiamo di fermarci a un’analisi superficiale e di commettere degli errori di valutazione molto gravi”.
Il golpe contro Chávez e il consenso della Chiesa oligarchica
Il primo grande tentativo di rovesciare la rivoluzione bolivariana si consuma nell’aprile 2002, con il colpo di Stato che per 48 ore depone Hugo Chávez. Dietro il golpe si muovono i grandi latifondisti, i petrolieri e l’oligarchia storica del Paese, sostenuti dalle ambasciate occidentali e da una parte consistente della gerarchia cattolica venezuelana.
La Conferenza episcopale, allora espressione diretta dei poteri economici tradizionali, non esitò a schierarsi con i golpisti, legittimando apertamente l’interruzione della democrazia. Una pagina nera della storia recente, in cui la Chiesa abbandonò il popolo povero per difendere gli interessi delle élite.
«Il golpe del 2002 – ricostruisce Vasapollo – fu il primo tentativo di fermare con la forza un processo di emancipazione popolare che stava cambiando la storia del Venezuela. La Chiesa ufficiale, allora legata a doppio filo con i latifondisti e i petrolieri, tradì la sua missione di stare con gli ultimi e divenne uno strumento dell’oligarchia. Ma il popolo, scendendo in strada e circondando il palazzo presidenziale, restituì a Chávez la legittimità che nessun golpe e nessun vescovo potevano cancellare».
Le campagne mediatiche internazionali e le fake news
Dal golpe in poi, un incessante fuoco di fila mediatico ha cercato di screditare la rivoluzione bolivariana. Testate occidentali e reti televisive regionali hanno diffuso notizie false e manipolate. Una delle più clamorose fu quella delle “ragazze venezuelane costrette a vendere i capelli per sopravvivere”: una bufala, nata da un parrucchiere colombiano e rilanciata come se fosse la fotografia della crisi in Venezuela.
Queste campagne di disinformazione hanno avuto l’obiettivo di isolare Caracas, alimentare la percezione di un Paese al collasso e preparare il terreno a nuove aggressioni economiche e politiche.
«La guerra mediatica contro il Venezuela – rileva Vasapollo – è stata continua e sistematica. Si è cercato di dipingere il socialismo bolivariano come un fallimento totale, inventando notizie grottesche. Ma i dati reali mostrano una crescita che oggi non ha pari in America Latina, e questo perché il Venezuela, nonostante le sanzioni, ha saputo difendere la propria sovranità energetica e alimentare».
I brillanti risultati del governo chavista
Economista e docente alla Sapienza di Roma, Vasapollo osserva con attenzione l’evoluzione dell’economia venezuelana, sottolineando come i dati più recenti dimostrino una capacità di resistenza che ha sorpreso persino gli analisti più scettici. In un contesto mondiale segnato da crisi finanziarie e instabilità geopolitiche, il Venezuela, nonostante le dure sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione Europea, riesce a registrare una crescita significativa e a contenere gli effetti dell’inflazione.
Secondo Vasapollo, questi risultati non sono frutto del caso, ma della combinazione di politiche economiche mirate e del rafforzamento delle relazioni commerciali con paesi che hanno deciso di sfidare l’egemonia del dollaro e i diktat occidentali. Il docente evidenzia come la scelta del governo di Maduro di puntare su un’economia sempre più diversificata, meno dipendente dal solo settore petrolifero, stia iniziando a produrre frutti tangibili.
L’esperto mette in rilievo anche la dimensione sociale di questi progressi. Le misure adottate hanno permesso di ridurre l’impatto delle sanzioni sulla popolazione, garantendo maggiore stabilità ai programmi di welfare e sostegno alle fasce più deboli. È la dimostrazione, afferma Vasapollo, che un’economia che si emancipa dalla sudditanza verso il Nord globale può non solo sopravvivere, ma addirittura rafforzarsi.
In questa prospettiva, il caso venezuelano assume un valore simbolico per l’intero Sud del mondo. Vasapollo insiste sul fatto che la resistenza di Caracas non è soltanto una questione nazionale, ma un esempio di come sia possibile costruire un modello alternativo, fondato sulla solidarietà internazionale, sulla cooperazione Sud-Sud e su un uso strategico delle proprie risorse naturali.
Il Venezuela, sintetizza il professore, non è più solo al centro di un conflitto politico ed economico, ma rappresenta un laboratorio vivo di alternative al neoliberismo, in grado di ispirare altri paesi a liberarsi dal giogo delle potenze imperiali.
Il recente tentativo di golpe della Machado
Nel luglio 2024, in coincidenza con le elezioni presidenziali, l’opposizione guidata da María Corina Machado ha tentato un nuovo colpo di mano, arrivando perfino a minacciare gli osservatori internazionali. L’obiettivo era delegittimare il voto e creare il caos per imporre un governo fantoccio gradito a Washington.
Ma anche questa volta la mobilitazione popolare e la vigilanza internazionale hanno sventato il piano.
Secondo il prof. Vasapollo,
«la Machado rappresenta il volto più violento e servile dell’opposizione venezuelana, pronta a consegnare il Paese agli Stati Uniti pur di scalzare la rivoluzione. L’attacco agli osservatori internazionali dimostra la loro paura: sanno che il popolo, liberamente, continua a scegliere il socialismo bolivariano».
Una larga alleanza di movimenti socialisti di un centinaio di paesi a sostegno del Chavismo
Se l’aggressione imperialista non si è fermata, negli ultimi dodici mesi il Venezuela ha consolidato un consenso internazionale crescente. Un rapporto stretto con i BRICS, il rafforzamento delle alleanze con Mosca e Pechino, l’appoggio di paesi africani e asiatici hanno reso più difficile l’isolamento diplomatico.
Sottolinea Vasapollo che «il Venezuela oggi non è più solo. La multipolarità, i BRICS, la forza di Mosca e Pechino hanno cambiato gli equilibri. Maduro ha saputo tessere relazioni internazionali che garantiscono non solo sostegno politico, ma anche scambi economici fondamentali per lo sviluppo».
Le nuove minacce dagli Stati Uniti: navi nucleari nei Caraibi
Dopo le sanzioni e i golpe falliti, l’ultima provocazione arriva dall’amministrazione americana. Mentre Joe Biden tendeva trappole diplomatiche a Caracas, Donald Trump e il suo Segretario di Stato Marco Rubio hanno orchestrato un’escalation militare con l’invio di navi nucleari nei Caraibi. Un gesto che riporta alla memoria i momenti più pericolosi della Guerra Fredda.
«Le navi nucleari nel Mar dei Caraibi rappresentano – afferma il docente – un atto di aggressione che minaccia non solo il Venezuela, ma la pace di tutta la regione. È il tentativo degli Stati Uniti di riaffermare la dottrina Monroe, ma in un mondo che non è più quello del Novecento. Oggi i popoli del Sud hanno alleati e strumenti per resistere».
La resistenza e il ruolo dei movimenti internazionali
Nonostante tutto, il Venezuela continua a resistere. A sostenerlo ci sono movimenti, partiti e reti di solidarietà internazionali come la Rete dei Comunisti, l’OSA e Cambiare Rotta, che vedono nell’esperienza bolivariana un laboratorio di emancipazione per il Sud del mondo.
«Ogni volta che il Venezuela resiste a un aggressione, non è solo un fatto nazionale, ma un messaggio universale. La Rete dei Comunisti, OSA, Cambiare Rotta e tanti movimenti internazionali sanno che la rivoluzione bolivariana è un bene comune dell’umanità, perché difende la sovranità, la pace e la giustizia sociale».
Una sfida che riguarda i destini dell’umanità
Come sottolinea il professor Luciano Vasapollo, la posta in gioco non riguarda soltanto i rapporti tra Stati o le dinamiche delle economie emergenti, ma tocca direttamente la vita dei popoli. Le cifre, le proiezioni di crescita e i dati macroeconomici trovano senso solo se letti nella prospettiva dell’autodeterminazione e della giustizia sociale. È in questo orizzonte che il Venezuela, pur tra mille difficoltà, rappresenta un laboratorio di resistenza e di alternativa, capace di mettere al centro i diritti delle classi popolari e la dignità nazionale contro le aggressioni esterne.
Il richiamo del docente romano è chiaro: non si tratta solo di analizzare le politiche economiche, ma di difendere la possibilità stessa di un mondo multipolare, in cui la cooperazione solidale prevalga sulla logica della sopraffazione. «La vera sfida – osserva Vasapollo – è trasformare i successi economici in conquiste durature di equità e partecipazione, sottraendoli alla mercificazione imposta dai centri di potere finanziario». Parole che, poste in conclusione, assumono il valore di un appello, rivolto non solo agli analisti e ai governi, ma alle coscienze di tutti coloro che credono nella pace, nella sovranità e nella speranza dei popoli.