Contro l’aggressione statunitense
Rete dei Comunisti / Cambiare Rotta – organizzazione giovanile comunista / OSA (Opposizione Studentesca d’Alternativa)
Il premio Nobel per la Pace assegnato il 10 ottobre a María Corina Machado certifica la politica neo-coloniale dell’Occidente Collettivo nei confronti dell’America Latina, e conferma la bancarotta morale delle sue élite, già abbondantemente emersa nella complicità nel genocidio palestinese.
Trumpiana fino al midollo, vicina al Likud israeliano, eroina dell’estrema destra dell’UE, la Machado è l’ennesimo burattino – dopo Juan Guaidó – usato per attaccare la Repubblica Bolivariana del Venezuela e la sua peculiare transizione socialista; un processo in fieri basato sullo sviluppo capillare del Potere Popolare, la costante consultazione elettorale, la mobilitazione permanente in difesa della sovranità del Paese ed in sostegno alle acquisizioni compiute da un quarto di secolo di chavismo, tra cui una diversa architettura delle relazioni tra stati latino-americani.
Il Chavismo, è bene ricordarlo, ha dato protagonismo alle parti storicamente più marginalizzate e svantaggiate della popolazione che guidano sia la transizione socialista “dal basso” attraverso l’esperienza delle comunas, che l’indirizzo politico generale, con la presidenza di Maduro in continuità con quella del Comandante Eterno, in favore delle classi popolari, delle popolazioni indigene e delle donne, così come più in generale dei popoli oppressi del Sud Globale.
Non sorprende che la ricerca di mantenere una rendita di posizione da parte dell’Occidente nei confronti del mondo multipolare in formazione, e l’iper-competività tra blocchi politico-economici costringa le classi dirigenti occidentali a legittimare squallide figure della pseudo-opposizione che reclamano l’intervento militare esterno, proprio mentre gli Stati Uniti stanno fortemente aumentando la pressione militare sui Caraibi. Con un inedito dispiegamento di uomini e mezzi – pari a circa il 14% della forza navale che impiega a livello mondiale – gli USA minacciano direttamente Venezuela e Colombia, ed in generale, la pace nell’intera regione con una sorta di riedizione della diplomazia delle cannoniere attraverso l’invenzione della lotta al “narco-terrorismo”.
Gli ultimi due attacchi ad imbarcazioni civili, che gli Stati Uniti hanno perpetrato, si sono svolti nelle acque del Pacifico, di cui almeno uno di fronte alle coste colombiane a differenza del precedente.
Tali operazioni extra-giudiziali possono essere svolte senza l’appoggio del Congresso per una durata di 60 giorni, prorogabili di 30 ad inizio di novembre.
L’amministrazione nord-americana sembra volere riaffermare nuovamente la Dottrina Monroe, cercando di imporre il proprio dominio in quello che ha sempre considerato il proprio “giardino di casa”, non disdegnando l’ipotesi di un intervento militare diretto quando le molteplici forme della guerra ibrida non sortiscono gli effetti desiderati: il cambio radicale del corso politico sia nelle esperienze più longeve del socialismo latino-americano (Cuba, Nicaragua, Venezuela) che nei confronti dell’ampie e composite realtà progressiste di Nuestra America.
Fino ad ora i recenti strumenti usati sono stati il “Lawfare”, la guerra economica, la delegittimazione dei processi elettorali all’interno della guerra cognitiva o veri e propri tentativi di golpe, quando risultavano vincitori politici/organizzazioni/coalizioni che non fossero fantocci dell’imperialismo e totalmente proni agli USA.
Ma la storia dell’imperialismo statunitense è fatta anche di invasioni vere e proprie sia contro i propri nemici “ideologici” – come a Granada nel 1983 – che contro dei suoi fantocci che gli si erano rivoltati contro, come a Panama nel 1989.
Ora la minaccia militare sembra l’ultima carta che “lo Zio Sam” può giocarsi sia sul fronte interno contro un’opposizione di piazza che sembra rialzare la testa, sia nella sua proiezione continentale, tenendo conto della sua incapacità di imporre le proprie scelte nei vari quadranti dell’attuale Risiko geo-politico, ed avendo da tempo persa la funzione di game changer, decisore finale delle sorti del pianeta.
Una belva ferita, comunque, non è meno minacciosa, specie se si regge su un gigantesco complesso militar-industriale ed potente apparato di difesa, e deve cercare mantenere la rendita di posizione di potenti lobby, come quella petrolifera.
In questo contesto, per i comunisti in Occidente, è vitale difendere le esperienze che sono i punti di tenuta e di rilancio della transizione socialista nel mondo multipolare, in grado di dare forza e prospettiva strategica ad una ipotesi di rottura politica anche in Occidente, mutuando le acquisizioni più importanti di tali esperienze e la capacità di mobilitazione di massa verso il Socialismo del XXI Secolo.
Invitando alla massima vigilanza, promuoviamo quindi: la diffusione di un manifesto nazionale “CON LA REPUBBLICA BOLIVARIANA DEL VENEZUELA!”
Venerdì 7 novembre, presidii solidali di fronte ai consolati del Venezuela a Napoli ed a Milano in difesa del socialismo bolivariano
Sabato 8 novembre, una iniziativa di approfondimento e discussione sull’attuale situazione in America Latina a Bologna


