in Contropiano Anno 1 n° 4 – 11 novembre 1993
Le più recenti vicende di Tangentopoli compromettono notevolmente sia l’immagine della “diversità” del PCI/PDS, sia la supposta “neutralità” della magistratura. Ma gli esiti della partita dipendono dal coinvolgimento o meno del “modello emiliano”.
È stata davvero una brutta doccia fredda per il PDS trovarsi sotto il tiro dei magistrati milanesi – dopo averli per mesi innalzati al ruolo di giustizieri – equivale, per Occhetto, grazie all’intervento dei grandi monopoli dei mass media, a sprofondare nella stessa palude in cui si dibattono cadaveri politici del calibro di Craxi, De Lorenzo e compagni. Dalle ultime battute della sceneggiata di Tangentopoli, ogni pretesa di neutralità della magistratura esce fortemente compromessa. Gli attacchi a Tiziana Parenti prima, e a Italo Ghitti poi, la frequentazione di quest’ultimo con il segretario della DC Martinazzoli (dietro la grottesca copertura di un raduno di alpini), il ruolo di Gerardo D’Ambrosio, costretto ad esporsi sempre di più agli attacchi giornalistici che ormai lo hanno bollato come il “difensore d’ufficio” del PDS, hanno notevolmente appannato l’immagine della “rivoluzione italiana” e dei suoi “onesti” protagonisti.
Primo Greganti, sulla soglia della sua seconda scarcerazione, ha parlato di “giudici che sbagliano”, però più che una debacle, la frattura nella magistratura milanese si caratterizza come uno scontro tutto politico in cui tanti sproloqui sulla certezza del diritto o sul carattere super partes della magistratura, si dimostrano vuoti espedienti retorici. La verità è che si avvicinano le elezioni….
C’è da supporre che comunque il PCI/PDS sia coinvolto marginalmente nel “giro grosso” delle tangenti e questo non per una supposta “superiorità morale”, ma semplicemente perché il ruolo del PCI/PDS è sempre stato marginale nella gestione del patrimonio pubblico. Ciò non ha impedito a questo partito di piazzarsi al terzo posto in graduatoria per numero di inquisiti, così come la Lega delle Cooperative si è trovata coinvolta in parecchi scandali e, per ammissione dello stesso ex presidente Turci, non ha disdegnato collusioni con la criminalità mafiosa.
Il vero tallone d’Achille del PDS non può quindi trovarsi a Milano, a Ronca o a Palermo (qui sono altri che hanno manovrato o manovrano appalti e bustarelle) ma nel cuore dell’Emilia “rossa”. Su questo, possiamo citare alcuni casi esemplificativi.
Nel 1974, un organismo sindacale di base denuncia un’operazione speculativa di grandi dimensioni sul Parco Talon, situato nel comune di Casalecchio di Reno, limitrofo a Bologna.
A questa speculazione partecipano diverse amministrazioni locali, palazzinari romani, il PCI e Sindona. Alcuni dei lavoratori che denunciano questa speculazione vengono poi arrestati o costretti all’esilio con l’accusa di banda armata (da cui saranno assolti), ma nel frattempo il processo sul Parco Talon si è già svolto senza i principali accusatori, mandando assolti amministratori, palazzinari e banchieri.
Nel 1985 viene presentato un esposto sugli appalti a trattativa privata stipulati negli enti pubblici con Agip-petroli (e i suoi subappaltatori Jacorossi e Manutencoop) per il riscaldamento degli edifici pubblici, un affare da cui si presumono tangenti di svariati miliardi. Su un caso analogo a Torino cade la giunta Novelli, a Bologna invece il caso viene insabbiato.
Potremmo continuare a lungo nell’enumerare appalti truccati, turbative d’asta, consulenze esterne sospette, varianti suppletive in corso d’opera che hanno fatto enormemente lievitare il costo degli appalti, ecc., tutto regolarmente denunciato e prontamente archiviato.
Quando nel maggio del 1992, il Comitato contro le privatizzazioni di Bologna tenta di approfittare del clima creato da Tangentopoli per riaprire alcuni casi, il Procuratore Capo della Repubblica, Latini, denuncia per calunnia alcuni esponenti del Comitato. Questa denuncia viene però archiviata dalla competente Procura di Firenze, e dopo pochi mesi lo stesso procuratore Latini viene messo sotto inchiesta dal CSM ed il suo sostituto D’Orazi è costretto a chiedere il trasferimento.
Lega delle Cooperative e modello emiliano
Al di là dei casi sopraindicati, occorre analizzare il meccanismo che negli anni si è instaurato dietro il mito del “modello emiliano”. Le cooperative sono la prima componente della sinistra italiana a subire una profonda mutazione genetica. Già dall’inizio degli anni ’60 (con il 26° Congresso nel 1962 a Roma), con la rimozione di Cerreti dai vertici della Lega, le cooperative abbandonano la linea di classe che le vedeva storicamente collocate contro i monopoli e a supporto delle lotte politiche e sindacali dei lavoratori, accettando in pieno la logica del mercato e delegando ad una poderosa struttura “tecnica” lo sviluppo dell’economia cooperativa, tutta incentrata sull’aziendalismo. L’attività degli organismi politico-sindacali (associazioni, Federcoop) passa dalle funzioni di rappresentanza e tutela a quelle di promozione e indirizzo.
L’altro elemento costitutivo è rappresentato dalle amministrazioni locali. L’ambiguità storica del municipalismo emiliano è ben rappresentata da uno dei suoi primi sindaci, quello di Bologna, il socialista Zanardi, ottimo amministratore (fece costruire panifici comunali ed impose un calmiere sui prezzi dei generi alimentari) ora fervente interventista durante la prima guerra mondiale. Con la linea sintetizzata nel celebre discorso su “Ceti medi ed Emilia rossa”, Togliatti seppe esercitare una fortissima egemonia del PCI su questa esperienza, ereditandone però accanto alla “buona amministrazione” anche quei caratteri che oggi chiameremmo “miglioristi” (non è casuale che l’attuale gruppo dirigente del PDS sia costituito in gran parte da quadri provenienti dall’Emilia).
Una funzione fondamentale è stata poi svolta dalla CGIL nel contenere al massimo le lotte sociali nella regione attraverso un “patto sociale” basato su una forte flessibilità del lavoro, una bassa conflittualità ed un’alta qualità dei servizi sociali. Un assetto corporativo che ha coinvolto integralmente ampi settori della piccola e media imprenditoria locale. Un equilibrio oggi reso sempre più precario dalla crisi economica nonostante gli ampi spazi aperti dalla politica delle privatizzazioni perseguita dalle amministrazioni locali a partire dalla metà degli anni ’80.
Il PCI/PDS è stato dal dopoguerra in poi il garante istituzionale di questo blocco corporativo, regolato non da flussi di “mazzette” ma da più sofisticati meccanismi di scambio politico, economico, sociale.
Come andrà a finire? A questo punto possiamo avanzare due ipotesi: o l’azione della magistratura è volta a ottenere un contenimento del PDS impedendogli di trarre un eccessivo vantaggio dalla vicenda Tangentopoli, e allora le indagini si manterranno grosso modo sui binari fin qui seguiti; oppure quello che si vuole ottenere è un forte ridimensionamento del PDS, e allora le indagini si concentreranno sul “filone emiliano”.