da Le ragioni dei comunisti oggi. Tra passato e futuro. Un contributo al dibattito
I movimenti politici e sociali degli anni ‘60 e ‘70. hanno prodotto una generazione politica che condiziona attualmente lo scenario del dibattito politico e dell’elaborazione della sinistra. L’origine sociale (medio-alto borghese) e la deformazione ideologica di questa generazione, ha anche dato vita ad un vero e proprio ceto politico che si ricicla e autoriproduce sistematicamente e che occupa di volta in volta i punti decisivi del panorama politico della sinistra.
Se vogliamo datare la nascita del neocomunismo in Italia, non possiamo non fare riferimento all’espulsione della Rossanda, Pintor. Castellina, Magri ecc. dal PCI e alla nascita del “Manifesto”.
La nascita di questo giornale e di un gruppo politico ad esso legato, è stato il primo tentativo organico di superare la tradizione togliattiana e terzointernazionalista dentro il PCI e di superarne a “ sinistra” l’impostazione tradizionale. Tra questo gruppo ed Ingrao esiste ormai da anni un sodalizio politico e teorico tuttora egemone su gran parte della sinistra “critica” verso il PCI berlingueriano prima e il PDS di Occhetto poi.
Ma quale è la natura politica e teorica del “ Manifesto” ? Uno dei suoi fondatori, Rina Gagliardi, ha provato a offrirne una sintesi realistica :
“ // Manifesto fu, certo, un gruppo profondamente maoista. Credo di poter dire, anzi, che fu l’unica forza politico-intellettuale della sinistra italiana, nuova e vecchia, ad assumere il maoismo come connotato discriminante della propria fisionomia, non solo per aver attentamente seguito la Cina, la rivoluzione culturale del ‘66- ’69 e le vicende degli anni successivi, ma per aver recepito, nella propria autonoma elaborazione, il corpus più significativo del patrimonio di Mao….Risolutamente antistalinista, distante anni luce dagli infantilismi dogmatici dei “cinesi” organizzati in gruppi, il “Manifesto” non propone certo il maoismo come nuovo edificio dottrinario né la Cina come modello da importare. Non è neppure, d’altronde, un gruppo leninista : rivendica con forza le proprie radici (e matrici) comuniste occidentali, predilige su tutte la tradizione gramsciana (il Gramsci dei consigli) e, se rivendica un’ortodossia, è quella del ritorno a Marx, un Marx da rileggere senza “ismi”. ( Rina Gagliardi : Inserto sul ‘68 del “Manifesto”, Aprile 1988).
Dunque il gruppo politico e d’opinione più influente nella cultura della sinistra non socialdemocratica è maoista ma antistalinista, marxista ma non leninista, comunista ma nella accezione occidentale, gramsciano della prima ora e non nella interpretazione ufficiale fornita dal PCI (più centrata sul Gramsci dei “Quaderni dal carcere” che su quello degli “Scritti Politici”).
La carta di identità del “Manifesto” presentata da Rina Gagliardi ci consente di mettere a fuoco meglio le ragioni di tanti sbandamenti, abbagli e insufficienze di fronte alla realtà, alle sue contraddizioni, alle sue conseguenze.
Gli avvenimenti del 1989, le contraddizioni e i contraccolpi che hanno prodotto, la stessa crisi verticale della sinistra italiana c le sue trasformazioni (tra cui la nascita della polarizzazione tra PDS e Rifondazione Comunista), sono stati analizzati, esaminati e dibattuti da moltissimi compagni, giovani e meno giovani, attraverso il punto di vista del “Manifesto”.
Gli editoriali di Karol, Rossanda. Pintor, Parlato. Gagliardi, le sistematiche interviste a Ingrao e Bertinotti (interviste puntuali, onnicomprensive, ossessive che hanno sempre riempito e delimitato lo “spazio critico’ al PDS e alla CGIL) sono state le lenti attraverso cui gran parte dei soggetti che si richiamano al marxismo, al comunismo, al cambiamento, hanno dovuto leggere e comprendere quello che accadeva.
Nessuno, ovviamente, vuole o può mettere in discussione la legittimità del “Manifesto” nello svolgere il proprio lavoro, il problema drammatico é che se questo diventa il punto di vista egemone su quella parte della sinistra che ha respinto il trasformismo ochettiano. il rischio è grosso, troppo grosso per essere ancora sottovalutato.
La contraddittorietà storica e politica del “Manifesto” rappresenta però solo un aspetto, importante ma parziale, nella formazione di una certa cultura politica nella sinistra italiana e di ceto politico che ne è intimamente legato.
Questo ceto politico ha riempito tutti i punti vitali della cultura politica e sindacale (centri studi,sindacati confederali, giornali, apparati dei partiti di sinistra), ha un impianto teorico fortemente speculativo – cioè incapace di elaborare autonomamente – ed un atteggiamento politico conseguente. E’ un ceto politico ancora dominante nei luoghi decisivi del dibattito, utilizza questa rendita di posizione prevenendo ogni rottura o nuova tendenza di classe nella sinistra; articola.elabora e spesso riesce ad imporre proposte “congiunturali” che non durano più di una stagione ma utilissime a frenare ed impedire ipotesi diverse e più “radicali” in senso antirifomista. Rappresenta, in sostanza, la variabile “di sinistra” della discontinuità occhettiana cioè il neocomunismo.
Per questo ceto politico neocomunista, la priorità delle contraddizioni risiede nell’ambito della sovrastruttura (le ideologie, la cultura, i partiti, il nuovo ecc.) e la politica diventa sempre più un apparato separato dalla realtà cioè “politicismo”.
Se è vero che anche a sinistra la “politica” viene sempre più rappresentata da questo ceto politico e sempre meno da movimenti reali ed autonomi della società, dobbiamo ammettere che ci troviamo di fronte ad un problema decisivo per le prospettive di un punto di vista e di un progetto comunista in Italia. Esso infatti, esprime una viscerale avversione verso ogni nuova forma di organizzazione politica, sindacale, sociale della sinistra di classe non solo per le radici teoriche e la natura sociale ma anche perché deve difendere il suo “ruolo materiale” nella società . La storia di una certa sinistra sindacale dentro la CGIL o di una vera e propria “casta” di parlamentari, sta dentro questo quadro.
Ma il problema sono i danni anche sul piano teorico che produce l’egemonia di questo ceto politico neocomunista . Infatti le questioni connesse ai meccanismi istituzionali, alla cultura, ai comportamenti, hanno assunto un peso sempre più crescente nell’elaborazione e nel dibattito marxista in Italia. La sovrastruttura è passata in primo piano e la liquidazione dell’analisi sulla composizione, le esigenze e l’autonomia di classe in un paese a capitalismo avanzato come l’Italia, ha via via imposto la dominanza di movimenti e culture interclassiste nella definizione di un progetto di trasformazione sociale del paese e dei rapporti internazionali.
In tutti gli anni ‘80, i socialdemocratici ed i neocomunisti hanno dato centralità ai movimenti pacifisti,ecologisti, femministi ritenendo che essi, e non più “il lavoro’, potessero rappresentare la base sociale di un nuovo blocco di trasformazione.
Nei riferimenti e nelle interlocuzioni sociali, si è parlato sempre più di “società civile’ dilatando a dismisura e brutalizzando l’analisi marxista e gramsciana della stessa. L’indistinta società civile che vuole gli onesti al governo, aborrisce la violenza. odia la mafia, non nutre timore per una società multirazziale, difende i propri diritti civili e sociali in qualità di consumatori di beni e servizi, è diventata così l’interlocutore fumoso e sfuggente di politiche di cambiamento fondate più sulle riforme istituzionali che sul conflitto sociale. Il PDS fonda su questo la sua strategia, ma i neocomunisti non vanno molto distante da questo asse di riferimento se non nelle enunciazioni verbali. Infatti le scelte concrete si rivelano sempre pronte a “coprire a sinistra’’ ieri il riformismo ed oggi la svolta moderata della sinistra riformista.
Il “politicismo” impregna dunque e profondamente la cultura neocomunista nel nostro paese, una ripresa del marxismo rivoluzionario dovrà aprirsi un varco nel dibattito e nell’analisi avendo coscienza reale di questo macigno.
Ma ci sono fattori più rilevanti che rendono però necessaria la ripresa di una impostazione rivoluzionaria del marxismo, sono infatti le contraddizioni reali a fornire materiale concreto per tale ripresa.
L’euforia e le volgarità del post’89, grazie alla guerra del Golfo e agli avvenimenti successivi, hanno costretto anche i centri studi borghesi ad analizzare con più rigore la realtà. Qualcuno si era affrettato a ritenere chiusa la partita nel 1989, altri avevano atteso l’Agosto russo del ‘91, ma i processi reali hanno sbalzato un pò tutti dal torpore, dalla subalternità ed anche da vecchie rendite di posizione.
Una situazione internazionale ed interna di profonda crisi economica e politica, i pericoli di nuove guerre e le crescenti tensioni interimperialistiche, rendono attuale ed urgente la ripresa di una analisi marxista e leninista delle contraddizioni che determinano tale situazione, delle forze sociali reali che dentro essa possono svolgere un ruolo trasformatore e del ruolo attivo e non residuale che in questa realtà possono svolgere i comunisti.
E’ necessario però “ far saltare il tappo” che egemonizza e distorce la formazione di una generazione politica adeguata a tale situazione, una generazione politica che, in sostanza, non vuole morire ingraiana né ritrovarsi ancora alla testa quel ceto politico che da venti anni rappresenta un formidabile ipoteca sulla riorganizzazione e l’elaborazione politica dei comunisti nel nostro paese.
CREDITS
Immagine in evidenza: Il calciatore Paolo Sollier intento a leggere la prima pagina de il manifesto
Autore: sconosciuto, 1974
Licenza: pubblico dominio
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