da Il Manifesto Politico presentato alla III Assemblea Nazionale della Rete dei Comunisti Roma, 2 aprile 2011
Il punto è, allora, cosa sono i comunisti oggi e cosa fanno nell’Italia e nell’Europa appena descritte. Certamente la questione del partito, dell’organizzazione, del rapporto di massa sono le questioni concrete cui dare una risposta più adeguata possibile alle condizioni in cui si opera, ma vengono prima alcune questioni di fondo, alla base, cioè, di ogni processo di riorganizzazione dei comunisti, attenendo alla funzione che questi devono svolgere nell’indicare una diversa idea di società e di relazioni sociali.
La prima questione che riteniamo fondamentale è quella del senso del collettivo. Gli ultimi decenni sono stati devastanti dal punto di vista della cultura politica dei comunisti. La crisi politica e la dimensione pervasiva delle relazioni istituzionali, vissute come esclusive e autoreferenziali, ha prodotto un individualismo diffuso, una competizione personale e un arrivismo indecente che ha smontato, pezzo a pezzo, un patrimonio unico nell’occidente capitalistico: quello del movimento operaio, del PCI e dell’intero movimento degli anni ‘70. Questa mutazione è stato il riflesso assorbito passivamente dai comunisti verso la modifica dei rapporti di forza tra le classi, della ripresa di egemonia dei valori borghesi che ha riguardato la classe ed il popolo del nostro paese ed ha portato al tradimento di quella democrazia progressiva obiettivo delle lotte popolari del dopoguerra. Su questa seconda natura posticcia, acquisita dai comunisti e dalla sinistra in genere, va dato anche un netto giudizio etico: la corruzione intellettuale subita, sebbene non sia il punto centrale, ci obbliga, infatti, ad assumere posizione anche su questo piano.
Il danno principale, per i comunisti italiani, è stato, invece, l’effetto prodotto da questi comportamenti: la distruzione dell’indipendenza delle organizzazioni di classe e il cui metro di valutazione obiettiva, oggi, sono i sempre più disastrosi risultati elettorali e la perdita d’indipendenza che ha avuto conseguenze profonde e devastanti nella battaglia delle idee per una concezione alternativa del mondo. Ricostruire, nella realtà odierna l’identità, la militanza e il senso del collettivo è, dunque, un compito primario da svolgere.
È il ruolo della teoria, l’altro terreno saccheggiato: l’oblio e la mistificazione di un pensiero forte che, lungi dall’essere fuori dal tempo, funziona ancora oggi, e cioè il marxismo. Anche questo è un segno della lotta i classe in atto: la forza del movimento operaio è stata la potenza di un pensiero razionale che sapeva interpretare il mondo e le sue dinamiche. Aver abdicato a questa funzione, aver favorito l’egemonia del pensiero debole, come anche aver sistematicamente anteposto il politicismo all’interpretazione e all’analisi, ha portato alla situazione attuale. La qualità della elaborazione teorica rimane centrale per una ricostruzione che, per quanto non dogmaticamente legata al passato, allo stesso modonon getti, però, il bambino con l’acqua sporca, riprendendo quegli elementi di teoria validi per l’azione, per recuperare, così, capacità d’analisi e d’intervento sul presente che calate compiutamente all’interno delle strutture socio-economiche e politico-culturali del momento, assumono tutta la loro specificità e tutta la loro dirompente forza di trasformazione: altro che ferri vecchi! Se una critica deve esser mossa al movimento comunista del ‘900 – tutto intero – è di aver subordinato la teoria alla linea politica. Aver insomma messo la teoria al servizio – o a giustificazione – di scelte che sono sempre politiche. E come tali soggette ad errore. Non è avvenuto soltanto per l’URSS o il PCI. Ogni “eresia” di sinistra, nel secolo scorso, ha seguito l’identico schema, magari solo per giustificare scelte diverse o leader poi sconfitti.
Infine: il rapporto di massa. Non esiste nessuna seria “organizzazione comunista” se non è radicata nella classe e nel conflitto. Non si forma nessun quadro comunista se non si fanno i conti in prima persona con la realtà delle “masse” concretamente esistenti. Quando un “rivoluzionario” si scopre “senza un popolo”, vuol dire cha ha perso il sentiero. Il rapporto di massa è l’unico terreno di verifica delle capacità individuali e collettive di “costruire organizzazione”. Ogni ipotesi strategica o di linea politica, se non riceve il conforto della verifica di massa, resta una pura ipotesi. Ogni argomento che non “fa presa” su un interlocutore di massa reale, o è sbagliato o è “detto” in modo incomprensibile. Tra gli anglofoni si parla inglese, non italiano o latino.
Alla disgregazione materiale indotta dalla riorganizzazione produttiva e sociale si risponde con un forte ruolo della soggettività nei processi di ricomposizione del conflitto di classe; pensare di farlo partendo immediatamente dalla “politica” – magari intesa o nella sua dimensione più autonoma e astratta – significa continuare a seguire una via senza uscita. Far crescere il rapporto di massa organizzato, e di conseguenza la coscienza di classe, fornire ai quadri politici un metodo di lavoro e di verifica delle proprie ipotesi, è invece un compito cui nessuno si può sottrarre. Noi per primi, ovviamente.
E’ partendo da questi elementi che vanno intrapresi i processi di ricostruzione. Crediamo di poter affermare, perciò, che oggi l’Organizzazione dei comunisti non può che avere il carattere della militanza dei quadri e anche quello della ricerca di una qualità intesa come capacità edificatrice di un punto di vista organico al mondo moderno, quindi, recuperare quella “conoscenza del rapporto tra tutte le classi dal punto di vista della classe operaia” come viene ricordato nel Che Fare?. Il carattere militante dei quadri non significa ipotizzare una chiusura settaria ma è, al contrario, la condizione presupposta e necessaria per sviluppare al massimo una funzione di massa, per costruire processi larghi di organizzazione dovunque questo sia possibile, al di là di ogni concezione schematica e ossificata della classe e che coinvolga, invece, tutti i settori sociali, culturali e produttivi che hanno il comune interesse a una trasformazione sociale.
Solo così – ci sembra – diventa chiara la funzione dei progetti di costruzione della rappresentanza sociale, sindacale e politica – organizzata e indipendente – del blocco sociale penalizzato sia dallo sviluppo che dalla crisi del capitalismo.
E’ su questa chiarezza, su questa dimensione del fare, che fondiamo il senso stesso dell’agire da comunisti oggi. Perché siamo ciò che facciamo, non quel che diciamo – magari a noi stessi – di essere.