Guglielmo Carchedi, Lavoro mentale e classe operaia
Quanto sopra deve essere calato nel contesto specifico del capitalismo. Come menzionato nella sezione 1, così come la produzione delle merci oggettive è l’operato di lavoratori la cui attività determinante è la trasformazione di oggetti di trasformazione oggettiva con mezzi di trasformazione oggettiva appartenenti ai capitalisti, allo stesso modo la produzione di conoscenza è opera di lavoratori la cui attività determinante è la trasformazione di oggetti di trasformazione mentale con mezzi di trasformazione mentale. Gli oggetti di trasformazione mentale sono sia la conoscenza contenuta nella realtà oggettiva (computer, libri, ecc.) sia la conoscenza acquisita dai lavoratori e incorporata nella loro forza lavoro. Quest’ultima è anche il mezzo di produzione mentale. In che senso questi mezzi e oggetti di trasformazione e quindi di produzione appartengono al capitale?
Primo, la classe capitalista possiede la realtà oggettiva – istituti di ricerca, biblioteche, computer software, ecc. – contenente la conoscenza come mezzo di trasformazione mentale. Essa quindi può decidere quali di questi mezzi e conseguentemente quale conoscenza fare usare dai lavoratori mentali quando sono al servizio del capitale. Questo è stato chiamato CO nella sezione 1 più sopra.
Secondo, i capitalisti posseggono, perché comprano, la forza lavoro dei lavoratori mentali. Essi quindi possono decidere quale conoscenza debba essere generata, come debba essere generata, e per chi (ai fini di quali interessi). In tal modo essi plasmano la conoscenza (coscienza) contenuta nella forza lavoro per i propri fini. Tali fini sono molto diversi.
Ma ve ne sono due fondamentali: l’incremento della produttività come metodo principale di competizione inter-capitalista e l’incremento del controllo sui lavoratori (e quindi) dello sfruttamento. Questi fini a loro volta sono funzionali alla massimizzazione del profitto, il fine ultimo.
In genere i capitalisti non hanno le nozioni necessarie per guidare un processo lavorativo mentale. Ma essi hanno il potere di delegare la definizione e soluzione dei loro problemi per i propri fini. Difficilmente un armatore sa come costruire una nave in tutti i suoi dettagli. Questo è il compito dell’intelletto collettivo alle sue dipendenze. Gli intellettuali organici, i rappresentanti conoscitivi del capitale nella sfera della generazione della conoscenza (per esempio, scienziati e tecnici), formulano le linee generali di quello che il resto dei lavoratori mentali deve sviluppare più in dettaglio. Le mansioni possono andare dalle più qualificate a mansioni molto dequalificate.
Gli intellettuali organici del capitale, per essere tali, devono aver interiorizzato i fini del capitale come i propri. In genere, essi interiorizzano una visione del capitalismo come il sistema economico e sociale più consono alla natura umana e quindi percepiscono lo sviluppo del capitalismo come progresso umano.
La soluzione di problemi teorici che serva ai fini del capitale, quindi, diventa per loro il superamento di ostacoli sulla via del progresso.
La loro motivazione personale può essere la realizzazione dei loro ‘sogni’ ma questi sogni o aspirazioni sorgono dentro una cultura (conoscenza) che delinea ciò che è desiderabile.
Quindi, la conoscenza concepita all’interno del rapporto capitale-lavoro è uno strumento di dominio del capitale sul lavoro. Il capitale non impedisce alla razionalità del lavoro di manifestarsi, al contrario. La razionalità del lavoro può e deve esprimersi ma entro i limiti imposti dal capitale. La domanda è duplice: se i mezzi di produzione appartengono al capitale, (1) perché può manifestarsi anche la razionalità del lavoro? e (2) come e quali limiti impone il capitale alla manifestazione della razionalità del lavoro?
Per quanto riguarda la prima domanda, vi è una differenza fondamentale tra la produzione oggettiva e quella mentale. Nella prima, il prodotto oggettivo è appropriato dai capitalisti. Ai lavoratori non rimane nulla. Anche nella produzione mentale il prodotto, la nuova conoscenza, è appropriato dai capitalisti.
Essi ne hanno i diritti di proprietà intellettuale come se fossero essi, e non i lavoratori mentali, che la hanno generata. Tuttavia, quella conoscenza non è cancellata dai cervelli dei lavoratori mentali, essa è conservata dal loro intelletto collettivo. Il capitale si appropria del prodotto del lavoro. Però una copia, per così dire, rimane all’intelletto collettivo del lavoro. I lavoratori mentali (intelletto collettivo), avendo conservata la conoscenza da loro creata, hanno anche la possibilità, sotto la stimolo del perseguimento dei propri interessi, di poterla usare per i propri fini, di poterla cambiare per resistere al dominio del capitale. Ciò vuol dire che questa conoscenza generata dal lavoro (mentale), se è una modificazione della razionalità del capitale, ha una doppia natura di classe.
Ma, e questa è la seconda domanda, quali limiti impone il capitale alla manifestazione della razionalità del lavoro quando il lavoro genera conoscenza per il capitale? Facciamo tre esempi. Primo, il capitale permette che il lavoro esprima la propria razionalità ma, siccome questa conoscenza ha una doppia natura di classe, la sua razionalità predomina su quella del lavoro nel senso che, indipendentemente dalla possibilità di resistere al dominio del capitale, il suo uso da parte del lavoro contro il dominio del capitale riproduce il sistema capitalista. Per esempio, il ritmo della catena di montaggio può solo essere rallentato. Oppure, la conoscenza necessaria per la produzione di una pistola, e quindi l’uso della pistola, non deriva dal suo essere neutrale in termini di determinazione di classe ma da quella doppia e contraddittoria natura di classe. Sia l’uso della pistola da parte del lavoro che il rallentamento del ritmo della catena di montaggio, anche se possono essere necessari, non rispecchiano la razionalità del lavoro.
Secondo, il capitale stimola la razionalità del lavoro ma allo stesso tempo la trasforma nel suo opposto, ovvero il predominio della razionalità del capitale implica che quella del lavoro può manifestarsi solo se denaturata dal contatto con l’opposta razionalità. Un esempio è dato dalla conoscenza necessaria per la cooperazione all’interno di un team di lavoratori come tecnica manageriale. Le regole del lavoro di gruppo (della cooperazione) non sono quelle che massimizzano lo sviluppo delle potenzialità dei lavoratori o il potere di contestazione del dominio del capitale. Piuttosto, esse rispecchiano all’interno del team lo scopo del massimo incremento della produttività e quindi del profitto.
Terzo, il capitale commissiona la conoscenza con la razionalità del lavoro ma allo stesso tempo la circoscrive entro i propri limiti.
Questo è il caso in cui la doppia natura di classe della conoscenza si oggettivizza in prodotti che soddisfano i bisogni di entrambi le classi. La razionalità del lavoro emerge perché quelle oggettivizzazioni devono poter soddisfare i bisogni di tutti mentre la loro natura di classe deriva dal fatto che il loro scopo primario è la massimizzazione del profitto, e cioè che la soddisfazione dei bisogni è circoscritta entro i limiti imposti dal capitale, essenzialmente la produzione e massimizzazione diretta o indiretta del (tasso di) profitto (Phoebe and Taylor, 2009). Ad esempio, le società farmaceutiche producono solo quelle medicine che massimizzano in prima istanza non il benessere ma il loro profitto. La cura delle malattie non è il loro fine ma è solo il mezzo e la condizione per massimizzare i profitti.
La produzione di medicine non remunerativa (preventiva) non è stimolata.
Oppure, si consideri la produzione di opere pubbliche, come autostrade e ospedali. Qui la razionalità del lavoro sembra prevalere su quella del capitale. Ma la razionalità del capitale è presente, anche se indirettamente, e predomina perché opere pubbliche che danneggiano la profittabilità non vengono eseguite. In questo caso, la razionalità del capitale circoscrive quella del lavoro. Questo principio può essere modificato per motivi politici o ideologici, ma mantiene la sua validità generale.
Questi sono esempi dell’impossibilità per il lavoro di generare una conoscenza realmente alternativa a quella del capitale nell’ambito del rapporto capitale/lavoro. Questa conoscenza è possibile ma solo al di fuori di questo rapporto ed è generata da quelli che più sotto verranno chiamati gli agenti mentali. Nella misura in cui la conoscenza da essi generata non è influenzata dalla razionalità del capitale, gli agenti mentali possono generare un tipo di conoscenza con un contenuto di classe alternativo al capitale. Associazioni e partiti politici sono un ovvio esempio. Un esempio più specifico è il documentario politico del 2005 di tredici minuti The French Democracy sulla rivolta dei giovani immigranti nei sobborghi di Parigi. Questo video, “il cui costo era di $60, fu scaricato molte volte, gratis, fu messo su You Tube, attirò un’ampia attenzione e fu fatto vedere al festival del film. Con tutta probabilità fu il comunicato più efficace dalle banlieux che scavalcò l’Atlantico e girò tutto il mondo.” (Dyer-Witheford and de Peute 2009, p. 187).
Quanto sopra è rilevante anche per una teoria della transizione dal capitalismo al comunismo. Evito la questione se uno stadio intermedio, il socialismo, sia possibile o necessario prima del comunismo perché non essenziale ai fini di questo lavoro. Probabilmente tutto dipenderà dalle condizioni oggettive che renderanno possibile e necessaria la transizione e dal livello di coscienza di classe delle masse in quella congiuntura. In tale periodo, la conoscenza e le sue oggettivazioni, compresi i mezzi di produzione, dovranno essere esaminate secondo la loro natura di classe ed essere o scartate o temporaneamente trasformate (se possibile) in contesto sociale radicalmente cambiato.