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“Il colonialismo non cede se non con il coltello alla gola”
Frantz Fanon
Rete Dei Comunisti
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una accelerazione delle tensioni diplomatiche, politiche ed anche militari tra alcuni Stati dell’Africa Occidentale e l’Unione Europea, in particolare attraverso il suo pivot militare rappresentato dalla Francia, la quale conta poco meno di 5.000 militari in tutto il Sahel.
Mali, Guinea e Burkina Faso sono entrati in “rotta di collisione” con quelli che erano i piani decisi per loro a Bruxelles e Francoforte, ed in parte a Washington. Il Mali, in particolare, che era il centro della strategia militare francese, nonché il paese che “ospitava” più della metà di tutti i suoi effettivi nell’area, è venuto ai ferri corti con Parigi , ma non solo, dopo il secondo “colpo di stato” avvenuto l’estate dello scorso anno.
In altri Paesi lo status quo neo-coloniale scricchiola a causa delle macerie prodotte da un modello di sviluppo che ha devastato i paesi divenuti la periferia integrata alle catene del valore occidentale già prima della fine del mondo bipolare e la “vittoria” della globalizzazione neo-liberista.
L’intero edificio politico costruito sulle fondamenta dell’ “Africa Francese” mostra delle crepe evidenti anche nei perni della “nuova” strategia Europa.
L’Esagono attraverso il sistema politico, economico e monetario della Françafrique è stato infatti il vettore degli interessi neo-coloniali europei in Africa, dove l’Unione Europea sta non solo sperimentando quella “autonomia strategica” a cui anela sul piano militare, ma anche una delle sue principali direttrici di espansione economica attraverso il nuovo piano di investimenti europei con il “Global Gateway”.
I due giorni di vertice tra UE ed i paesi dell’UA svoltisi il 17 e 18 febbraio a Bruxelles confermano la volontà europea di investire 150 miliardi in Africa in alcuni settori strategici con una strategia che si poggia prevalentemente sui traballanti leader politici filo-occidentali nell’area.
Parigi è stata per così dire l’ariete nei territori del suo antico dominio coloniale – su cui non ha mai voluto mollare la presa della sua grandeur – per conto della UE, ma anche gli altri Stati europei – compresa l’Italia – hanno contribuito con gli “stivali sul terreno”. Recentemente, il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, ha dichiarato che il Sahel rappresenta “il vero confine meridionale dell’Europa”, sostanziando di fatto le pretese espansionistiche e le influenze politiche dell’imperialismo dell’Unione Europea.
L’Italia, è sempre bene ricordarlo, impiega 250 uomini e otto elicotteri, nella task-force Takouba, la missione multinazionale di truppe speciali prevalentemente europea a guida francese che conta all’oggi circa 900 effettivi, pensata in piena crisi della missione Barkhane, e che aveva all’inizio trovato la disponibilità di 5 Paesi (Belgio, Danimarca, Estonia, Olanda, Portogallo) per poi allargarsi, comprendendo una quindicina di Stati, tra cui il nostro, senza che ci fosse da noi nemmeno lo straccio di un dibattito politico pubblico sul senso della missione.
La Germania – secondo la DW – ha il suo più grande contingente all’estero, circa 1.300 uomini, proprio in Mali, all’interno di due differenti missioni: 1.000 su 15.000 effettivi della missione delle Nazioni Unite MINUSMA, iniziata nel 2013, e più di 300 su circa 1.100 nella missione di Addestramento della UE, EUTM-Mali. La Spagna – Secondo EL PAIS – ha 530 effettivi nella missione EUTM-Mali.
Complessivamente le forze “esterne” nella regione, ammontano a 25 mila unità, riferisce FRANCE 24.
I super-Stato europeo in formazione sta incontrando diversi ostacoli alla sua affermazione in quello che pensava potesse essere il proprio cortile di casa: temibili competitor come Russia e Cina, ma anche Turchia e Petrol-monarchie del Golfo, militari “patriottici” che destituiscono i terminali politici locali della Françafrique e che dimostrano una certa indipendenza di giudizio, nelle scelte che operano e soprattutto movimenti politico-sociali di massa che vogliono continuare il loro percorso di liberazione lì dov’è stato bruscamente interrotto dall’Occidente.
La presenza militare francese attraverso l’operazione Serval, poi divenuta Barkhane, nel Sahel è stata intrapresa nel 2013 con l’intento propagandato della “lotta al terrorismo”. Una narrazione tossica – quella della guerra al terrorismo islamico – che è servita da strumento ideologico per giustificare i nove anni della più lunga ed estesa operazione militare francese dalla Seconda Guerra Mondiale (a parte l’operazione contro-insurrezionale in Algeria dal 1954 al ’62), in maniera non dissimile dalla “war on terror” propagandata da Washington dall’Afghanistan in poi.
Una missione che come in Afghanistan, con l’ADF voleva scimiottare una sorta di “aiuto allo sviluppo” civile ma del tutto incorporata nella missione militare.
In realtà, più che a difesa delle popolazioni civili minacciate e vittime delle violenze perpetrate da gruppi armati jihadisti nella regione (allora alleati con le milizie Touareg), l’obiettivo della Francia è stato fin da subito la tutela dei suoi interessi economici e la prosperità dei profitti delle sue multinazionali che depredano e saccheggiano le risorse del Sahel (Total, ex-Areva, Bolloré ed altre ancora).
Sotto il profilo prettamente militare se qualche dirigente jihadista è stato eliminato, l’insorgenza islamica si è diffusa a macchia d’olio e lambisce ormai gli Stati del Golfo di Guinea (Benin, Togo e Costa d’Avorio, Ghana), e sembra saldamente ancorata in luoghi dove non era mai riuscita a impiantarsi prima.
La complicità e la subordinazione di alcuni governi dell’Africa occidentale al neo-colonialismo francese ha trovato una dimensione stabile ed istituzionalizzata non solo attraverso alcune figure politiche molto rappresentate in Occidente, come Macky Sall in Senegal o di Alassane Ouattara in Costa d’Avorio, dentro la gabbia di strutture sovra-nazionali come la CEDEAO e il coordinamento militare del “G5 Sahel”, entrambe entità subordinate agli interessi imperialistici occidentali. Francia ed Unione Europea hanno usato un approccio “due pesi, due misure” nei confronti dei leader locali, condannando alcuni “golpisti” e legittimandone altri come in Ciad.
La CEDEAO è responsabile, insieme all’UEMOA, delle sanzioni economiche e finanziarie comminate recentemente al Mali che, di fatto, hanno imposto un embargo dall’impronta decisamente neo-coloniale. Dal canto suo, il Mali ha inviato un ultimatum all’ambasciatore francese dopo le osservazioni oltraggiose del ministro degli esteri francese, mentre la Francia e l’UE continua a discreditare e delegittimare – così come l’Unione Africana – le diverse forme ed espressioni di indipendenza e sovranità che vanno affermandosi nell’Africa occidentale.
Il piano di ridimensionamento dell’operazione Barkhane annunciato a luglio scorso dal presidente francese Emmanuel Macron non aveva come intento quello di un “ritiro delle truppe” dal Mali – come erroneamente scritto dai media mainstream – ma una sua riorganizzazione e ridefinizione attraverso la “europeizzazione” dell’intervento militare nel Sahel. La missione Takuba prevede proprio l’impegno delle forze speciali della Francia e dei suoi alleati europei (ed il Canada) e rappresenta un ulteriore passo nella costruzione di quell’esercito di difesa europeo identificato come uno dei pilastri della “autonomia strategica”, di cui la Strategic compass è uno dei principali strumenti.
L’allargamento e lo sviluppo della missione Takuba, che secondo i piani di Parigi e di Bruxelles doveva avvenire in buon ordine, hanno conosciuto forti resistenze e mobilitazioni popolari tra le popolazioni di vari paesi dell’Africa occidentale. Il braccio di forza deciso dalle autorità maliane sul dispiegamento di nuovi contingenti militari europei della missione Takuba – che aveva già portato al ritiro di alcuni contingenti tra cui quello danese – cerca di invertire le relazioni internazionali che finora hanno determinato un meccanismo di dominio e soggiogamento da parte delle potenze occidentali nei confronti degli Stati africani.
Il 16 febbraio si è tenuto a Parigi un vertice dei capi di Stato dell’Africa occidentale e dell’Europa coinvolti nella Task Force Takuba, durante il quale Emmanuel Macron ha annunciato la partenza delle forze francesi dal Mali e il loro spostamento nei paesi confinanti, verso il Niger (dove ha già una base aerea ed un notevole dispiegamento di uomini, nonché una base per i droni statunitensi dell’AFRICOM), e il Burkina Faso. Una “ritirata disordinata” di fronte all’incertezza e alla paura crescente che il Sahel possa diventare in prospettiva “l’Afghanistan dell’Unione Europea” (con tutte le differenze del caso). In quattro-sei mesi, secondo le dichiarazioni dell’Eliseo, verrà completato il ritiro dal Mali, ma non dal Sahel dove continueranno a stazionare tra i 2000 e 3000 soldati. Parigi, continuerà a dare il proprio supporto aereo e medico alle altre missioni, ma è chiaro che senza la Francia le missione della UE, EUTM e EUCAP, e quella ONU, MINUSMA saranno fortemente penalizzate.
É chiaro che si tratta di una “swing mission” per la Francia e l’UE, non di un ritiro (a parte il Mali), che ne ampia il raggio d’azione e ridefinisce le modalità operative, per così dire “rendendola invisibile”. Ma il ritiro dal Mali non sarà certo una passeggiata di salute per l’UE, così come lo sarà lo spostamento della sua base operativa in Niger – ricco di materie prime strategiche – già teatro di vivaci proteste contro la presenza straniera nel Paese. Potrebbe essere addirittura l’ennesimo boomerang per un altro uomo politico filo-occidentale come il Presidente del Niger Mohamed Bazoum.
Insieme al Niger, è la Costa d’Avorio il presunto punto di forza franco-europea nella regione, con la sua base militare più grande di tutta la regione, che ospita un migliaio di soldati francesi ed ha fornito un supporto logistico fondamentale alla regione e dove è stata recentemente inaugurata l’Accademia Internazionale della Lotta Contro il Terrorismo.
L’Africa occidentale sta sfuggendo di mano agli “apprendisti stregoni” che hanno concorso alla destabilizzazione della Libia nel 2011 prima scatenando le forze jihadiste, che sono successivamente esondate in tutta l’area, e poi intervenendo militarmente attraverso la NATO. La diffusione delle forze islamiste è servita come pretesto per occupare militarmente una vasta zona, con un notevole impiego di effettivi, da parte in primis della Francia, perpetuando la propria politica neo-coloniale fatta di espropriazione di materie prime, dipendenza economica, “signoraggio” monetario con il Franco CFA e subordinazione politica attraverso una élite politica corrotta.
L’Africa occidentale e, in generale, il continente africano – con tutte le sue sfaccettature multidimensionali, peculiarità regionali e specificità locali – stanno diventando un teatro importante per la competizione internazionale, con un ruolo più marcato per la compresenza della Russia e della Cina, mentre si sta affermando la tendenza verso un mondo sempre più multipolare.
Pensiamo che ciò che sta avvenendo pone con forza la questione di una alternativa politica che prefiguri una configurazione di relazioni tra popolazioni che rompa con la logica neo-colonialista. Una logica che vorrebbe imporre il nascente polo imperialista europeo. La prefigurazione di questa alternativa – abbandonando un deleterio “eurocentrismo” – deve comprendere il valore del riemergente di un forte sentimento di indipendenza e la ripresa di un discorso pan-africanista specie tra le giovani generazioni.
Come Rete dei Comunisti ci auguriamo e ci adoperiamo la sconfitta del “nostro” imperialismo europeo in Africa, come altrove, e la realizzazione di una piena indipendenza e sovranità da parte di quei Paesi soggiogati dal neo-colonialismo dell’Unione Europea, dentro una configurazione di rapporti multipolari, in cui la cooperazione tra popoli sia il principale motore di una alternativa politica.
Abbiamo pensato fosse utile, fare una selezione di differenti contributi e comunicati sull’argomento apparsi sia su Contropiano che sul sito della RDC dal 2018 ad oggi, per fornire un primo strumento di comprensione ed approfondimento e che sarà foriero di ulteriori approfondimenti.
Buona Lettura.
19/2/2022
SOMMARIO
- La missione in Mali e la presenza della Francia in Africa
Aïssata Mohamed Kaba – 4 maggio 2018 - Il Sahel tra jihadismo, occupazione militare e nuove avventure UE
Giacomo Marchetti – 11 novembre 2019 - La polveriera del Mali: anello debole del neo-colonialismo della UE?
Giacomo Marchetti – 13 luglio 2020 - Caos generale in Mali: arrestati il presidente Keïta e il primo ministro Cissé
Andrea Mencarelli – 19 agosto 2020 - Chi sono i capi del comando militare che ha cacciato IBK
Andrea Mencarelli – 20 agosto 2020 - La posta in gioco in Mali
Redazione Contropiano – 21 agosto 2020 - Mali: problemi per il neo-colonialismo europeo in Africa
Giacomo Marchetti – 28 agosto 2020 - Può l’Occidente sconfiggere il “terrorismo islamico”?
J.P. Rémy, M.Zerrouky (“Le Monde”) – Giacomo Marchetti (21 ottobre 2020) - Mozambico, Sahel, Lago Ciad, Nigeria… Africa, il teatro di una nuova jihad
Jean-Philippe Rémy e Madjid Zerrouky – Le Monde - Il neo-colonialismo europeo in Africa
V.Mallet, N.Munshi, D.Pilling (Financial Times) – Giacomo Marchetti (15 novembre 2020) - Colpo di stato in Mali. Da due mesi sul terreno ci sono anche i militari italiani
Alessandro Avvisato – 27 maggio 2021 - L’Unione Europea va alla guerra
Micheal Peel (Financial Times) – Giacomo Marchetti (31 maggio 2021) - La Francia chiude la “missione anti-terrorismo” nel Sahel, ma ci resta
Alessandro Avvisato – 11 giugno 2021 - Il Mali rischia di diventare l’Afghanistan di Parigi… e dell’Italia
Alessandro Avvisato – 22 giugno 2021 - In Mali manifestazioni contro militari francesi e appelli alla Russia
Alessandro Avvisato – 14 settembre 2021 - La Russia nel cambio di equilibri in Africa
Giacomo Marchetti – 6 ottobre 2021 - Francia (e UE) in difficoltà in Mali e nel Sahel
Andrea Mencarelli – 26 dicembre 2021 - Nuove sanzioni della CEDEAO contro il Mali. In ballo gli “equilibri” nel Sahel
Andrea Mencarelli, Giacomo Marchetti – 12 gennaio 2022 - Operativi i militari italiani in Mali. Nubi fosche sull’Afghanistan della UE
Sergio Cararo – 16 gennaio 2022 - Il neo-colonialismo della UE ed il suo punto di caduta in Mali
Rete dei Comunisti – 16 gennaio 2022 - Mali. Un embargo finanziario illegale con un’impronta neocoloniale
Fanny Pigeaud, Ndongo Samba Sylla – 18 gennaio 2022 - Il Mali espelle l’ambasciatore francese
Andrea Mencarelli, Giacomo Marchetti – 2 febbraio 2022 - La Francia vorrebbe ritirare i soldati dal Mali. L’Unione Europea no
Alessandro Avvisato – 12 febbraio 2022 - Il tallone dell’Unione Europea sull’Unione Africana con il piano “Global Gateway”
Andrea Mencarelli, Giacomo Marchetti – 14 febbraio 2022 - Il risveglio anticoloniale africano e il ritorno delle argomentazioni coloniali in Francia
Saïd Bouamama – 20 febbraio 2020 - A Bruxelles il panafricanismo affronta l’Eurafrica
Amzat Boukari-Yabara – 20 febbraio 2020