Strategia della confusione: secondo atto
Contropiano Anno 1 n° 4 – 11 novembre 1993
In quest’ultimo periodo abbiamo assistito a un turbillon incontrollato di notizie, rivelazioni, dichiarazioni, smentite e controsmentite riguardo ai fatti che si sono verificati nei cosiddetti “anni di piombo”. Si è tornati a raccontare tanti piccoli frammenti di “verità”, pezzetti di storia che nulla tolgono e nulla aggiungono alle “tante verità” che erano già note, ad esempio, sul caso Moro.
Con la presunzione di ricostruire una verità storica e politica del tutto interessata (con l’esplicito intento di strumentalizzare in chiave politica alcuni fantasmi del passato), si è data cittadinanza politica, morale, storica e, in alcuni casi (ma solo e particolarmente in “alcuni casi”), giuridica ad alcune esternazioni fatte a venti anni di distanza dagli episodi denunciati. Non è possibile poi non rilevare come alcune di esse siano state costruite sull’onda di crisi psicologiche che depongono a testimonianza della ricattabilità di alcuni dei protagonisti.
Ma tant’è. Resta il fatto che alcune persone (vedi la vicenda di Maccari), la cui colpevolezza è ancora tutta da dimostrare, si ritrovano in carcere con la prospettiva dell’ergastolo e che sulle presunte verità storiche ben poco di sostanziale si è venuto a sapere in più o di diverso da quello che già si sapeva.
Ma questo polverone di rivelazioni e smentite sul caso Moro è riuscito ancora una volta a ridimensionare, imbragare, ostacolare la battaglia di libertà e di verità portata avanti da alcuni familiari di detenuti politici anche con uno sciopero della fame avviato il 1° ottobre.
Di fronte al tentativo razionale di contestualizzare i fatti sul piano storico per giungere a una doverosa soluzione “politica” per i detenuti politici ancora in carcere, la sarabanda di queste settimane ha prodotto una confusione tale da rendere difficile qualsiasi richiamo alla razionalità.
Il quadro che ne esce fuori è quello abbastanza fosco di intrecci, correlazioni, rapporti tra mafia, golpisti, servizi segreti, brigatisti, da cui esce rafforzato il solito teorema (di matrice PCI oggi PDS) di un unico disegno destabilizzante, eversivo, un’unica trama antidemocratica guidata da uno o più “grandi vecchi” che avrebbero mosso a loro piacimento le marionette, siano esse di destra o di sinistra, e sempre in funzione eversiva contro lo Stato (secondo alcuni) o contro le possibilità di governo del PCI/PDS (secondo altri). Con una enorme operazione dei mass media viene così accreditata storicamente l’idea che la “lotta armata” dei gruppi di sinistra negli anni ’70 fosse parte dello stesso disegno antidemocratico delle organizzazioni fasciste e della destra.
Questo teorema che negli anni passati era servito come alibi al ceto politico dominante della Prima Repubblica (gli Andreotti, Craxi, Forlani) per coprire un sistema di potere rivelatosi colluso con la mafia e le stragi di stato, corrotto, disposto a tutto per conservarsi. Adesso “il teorema” viene di nuovo rispolverato proprio nel momento in cui il quadro istituzionale sta subendo una svolta storica sul piano degli equilibri di potere.
Gli “scheletri nell’armadio” sono numerosi sia nelle stanze del vecchio ceto politico che del nuovo. Ciò rende abbastanza semplice la guerra a tutto campo a cui stiamo assistendo (vedi le accuse a Scalfaro per i soldi dei servizi segreti, il caso Locatelli, il gioco sporco contro la Lega, le inchieste giudiziarie contro il PDS ecc.).
Ma per la sinistra alternativa e di classe, la sua storia, la sua credibilità, la miscela è micidiale.
Il tentativo è quello di ridurre il suo patrimonio storico a un ammasso di orrori, storie segrete, doppiezze tali da ipotecarne per sempre le prospettive sul piano interno e internazionale (le coincidenze con cui è stata presentata la battaglia di Mosca contro il golpe sono assai forti).
Attraverso questa ben orchestrata e calcolata strategia della confusione si vuole impedire che sia fatta veramente chiarezza sul conflitto politico e sociale del dopoguerra e, in modo particolare, degli anni ’70, per negare un dato storico che inchioda alle loro responsabilità sia il sistema di potere della DC che il ruolo del PCI. Si vuole negare la realtà di una fase storica in cui la sinistra e i movimenti sociali avevano la forza per rovesciare il potere democristiano e ciò non fu fatto, dando inizio al declino della sinistra storica e all’avventurismo della lotta armata. Le omissioni sul compromesso storico ci sono ancora e sono molto forti sia da parte della DC che del PCI.
In sostanza, di quegli anni si vuole che esista una sola “verità”, quella dei vincitori, i quali sono gli stessi che oggi cercano di gestire il passaggio dei poteri dalla Prima alla Seconda Repubblica. Costoro temono una “verità oggettiva” che ne minerebbe fortemente la credibilità, ma temono soprattutto che questa verità riconosca che le contraddizioni politiche, sociali, economiche su cui si sviluppò il conflitto degli anni ’70 esistano ancora, acutizzate da una crisi economica e da una conseguente politica antipopolare ed autoritaria.
In tal senso intendono negare con ogni mezzo che la discontinuità pure intervenuta tra le esperienze attuali della sinistra di classe e quelle di allora, abbia una legittimità politica fondata sulla critica e l’autocritica. Per il potere l’unica discontinuità accettabile resta quella fondata sul pentimento, la dissociazione, la “collaborazione”, negando dunque ogni valenza politica alle soluzioni da adottare verso i prigionieri e gli esiliati politici e alle ricostruzioni storiche.
La sinistra, quella storica e quella alternativa, hanno spesso, troppo spesso, cercato di rimuovere questa contraddizione accettando l’oblio sugli anni ’70 o adeguandosi alla strategia della confusione. È un atteggiamento profondamente sbagliato e suicida. Anche su questo terreno è ora di alzare la testa.
