di Francesco Piobbichi
Nella crisi il Governo costituente ha raggiunto l’obbiettivo strategico, scrivere a proprio favore le regole del gioco ingabbiando la nostra democrazia. Monti manderà in recessione l’Italia, se ne andrà con molte maledizioni ma ha aperto una parentesi che rimarrà aperta per decenni. Monti è l’alfiere principale del sovversivismo delle classi dominanti. E’ un populista tecnocratico o almeno prova ad esserlo.
Come scrive Mimmo Porcaro il populismo liberista di cui Monti è espressione “si caratterizza prima di tutto per una frammentazione ed individualizzazione del popolo” lavora “per la scomparsa del conflitto di classe e delle sue espressioni politiche. In questa prospettiva Il popolo diviene un aggregato di individui, di “gente”, che di volta in volta sceglie, senza “pregiudizi ideologici” – questa o quella soluzione politica in base a generiche e mutevoli preferenze che non fanno capo all’individuazione costante di precisi interessi di classe”.
Salta dunque in questa concezione, la mediazione offerta dai partiti che si richiamano ad identità stabili, e ciò che conta è il rapporto più o meno diretto, o mediato dai soli sondaggi, tra il popolo e l’esecutivo. Ma salta anche, pur se in modo più sottile, la mediazione del diritto, giacché la deregolamentazione tipica di ogni prospettiva liberista lascia campo libero al fluttuare delle norme in relazione ai rapporti di forza che si stabiliscono nel mercato.
Questo populismo neoliberista non si esime dall’individuare comportamenti “difformi” da additare come esecrabili per costruire un conformismo di massa: il governo Monti, per esempio, col suo odio maniacale per tutti i lavoratori che hanno ancora memoria delle lotte e dei diritti, ha bandito una crociata a favore della parte sana del popolo,ossia quella che non vorrebbe altro che la piena realizzazione di un (presunto) universo meritocratico, contro la parte “garantita” e perciò profittatrice ed egoista, del popolo stesso.” Come ci opponiamo al populismo liberista di Monti ed al processo di frammentazione dell’azione collettiva che il capitalismo determina nel suo funzionamento? In poche parole come svolgiamo una funzione di massa tra le classi popolari dentro la crisi e contro la ristrutturazione del capitale? A me pare evidente che se i padroni si sono organizzati per fare la lotta di classe, i lavoratori non riescono ad andare oltre la semplice indignazione, all’affidarsi al parolaio di turno, mentre la sconfitta materiale è segnata dalla lista dei suicidi. La notizia che 10 persone in Italia posseggono quanto 3 milioni di cittadini, non è diventata uno scandalo collettivo. Nel tutti contro tutti di questi tempi nessuno punta il dito contro i ricchi, ed in molti interiorizzano il senso di colpa della propria condizione. Occorre avere insomma il coraggio di pensarci come capaci di costruire una forza in grado di coniugare la sua utilità nei processi materiali che determina la crisi, con un progetto di società, praticabile, comprensibile ma dentro l’orizzonte del socialismo del XXI secolo. Dobbiamo allora chiederci come essere materialmente ed immediatamente identificati come utili con il soggetto sociale che è oggi inserito nella tenaglia della ristrutturazione che il capitalismo porta avanti attraverso l’indurimento dell’architettura istituzionale europea (IL FISCAL COMPACT).
C’è un blocco sociale al tempo stesso rassegnato e rabbioso, senza movimento, attraversato da conflitti “sporchi” con i quali dobbiamo comunque interagire, che siano camionisti o forconi, operai o precari, partite iva o piccoli artigiani la velocità dell’azione del capitale sta rendendo comune la condizione di molti soggetti.
Questo blocco sociale, livellato dalla crisi, non ha un progetto ma ha capito che li capitalismo non è la soluzione. Se questo è vero manca un soggetto politico in grado di sintetizzare le proposte in un programma. Scusate lo schematismo ma questa fase dal mio punto di vista impone un passaggio enorme, dalla dimensione della denuncia del fallimento delle politiche di austerity dobbiamo passare ad un programma credibile e dobbiamo ragionare con quale strumento renderlo vivo. La pista sulla quale lavoriamo è quella che riflette della metamorfosi del partito politico in partito sociale.
Come PRC proviamo a lavorare per la costruzione di un partito che lavora “con e per” la classe e che fa delle pratiche sociali il suo punto di forza nel rapporto con il popolo della crisi. Questo modello prevede un doppio movimento, tra un sociale che si politicizza ed un partito che socializza la sua azione mettendo le pratiche sociali al centro del processo . Per me questo partito non può che essere connettivo, non può che dialogare con le altre soggettività sociali in mobilitazione in forma indipendente e confederata. Ma la connettività di cui parlo, dal mio punto di vista non si determina nei convegni, ma nelle pratiche sociali e nei conflitti. Il partito sociale è quindi come modello un partito completamente interno, per linguaggio e pratiche al blocco sociale che vive la crisi, i cui militanti sociali si formano e si selezionano in questo scenario. Parlo di militanti sociali non perché voglio sminuire il militante politico ma perché ritengo che primariamente, il terreno che misura e valuta l’efficacia tra quello che uno dice e quello che uno fa è quello delle pratiche e dei conflitti.
Fare un GAP per tre anni riuscendo a ridurre del 30 40% i prezzi dei generi alimentari, costruire un intervento all’interno del terremoto, delle alluvione lavorare per favorire i processi di autorganizzazione tra i braccianti migranti meridionali, organizzare casse di resistenza con le arance dei contadini siciliani, costruire il progetto del dentista sociale non è un lavoro politico semplice. Per Rifondazione questo ha voluto dire aprire una sfida con se stessa, non conclusa e contraddittoria il cui esito, non è dato.
Questo processo richiede competenze differenti dal classico partito politico, competenze che la maggior parte dei nostri quadri non ha. Il terreno delle pratiche solidali nella crisi è però una pista che permette al partito di avere un’inchiesta calda continua, di selezionare militanti al di fuori della logica correntizia, di poter avere gli strumenti conoscitivi per avere nel lato alto della sfida per l’egemonia la conoscenza diretta dei processi sociali.
Un Partito sociale con e per la classe (sapendo che la classe di cui parlo non è quella degli anni ‘70) non ha bisogno di dire che è diverso dagli altri perché lo dimostra ogni giorno, ed è questa la forza di questo modello di partito rispetto al vento dell’antipolitica sempre utile al padrone. La diversità insomma dovrebbe partire delle sue strutture elementari, i circoli ed i militanti, che sono più vicini, o interni al popolo della crisi. Un partito sociale afferma quindi la propria legittimità nel rapporto democratico, trasparente, e partecipativo con il blocco sociale di cui diventa strumento per l’autoemancipazione collettiva. Un partito sociale è quindi un partito utile radicato e popolare che modella la propria organizzazione nella situazione politica data recuperando il concetto primario che identifica l’azione collettiva e la solidarietà tra pari in una ottica neo mutualistica in un momento in cui il welfare viene messo fuori legge in costituzione.
Sul terreno del mutualismo vorrei fare due precisazioni, il primo è che per me esso si inscrive in una funzione trasformativa. In un bellissimo libro che mi è capitato tra le mani ultimamente, (Proletari senza rivoluzione) ho letto che i Fasci siciliani concepivano il mutualismo come elemento funzionale per rompere con la borghesia agraria, un concetto del tutto diverso con quello “paternalista” con il quale in molti sbeffeggiano anche oggi queste pratiche. Dovendo riassumere il tutto, non facciamo i GAP per fare gli ammortizzatori sociali del capitalismo in crisi ma per superarlo.
Il secondo terreno è quello del mutualismo e la sussidiarietà e della cooperazione, o peggio l’utilizzo del terreno della cooperazione mercantile per contribuire allo smantellamento del sistema pubblico. Questo è uno spazio che secondo me deve essere concepito come capacità di difesa e conquista del pubblico e di una sua democratizzazione. Il tentativo è insomma quello di costruire una dialettica positiva, contro lo smantellamento dello stato sociale e dei diritti esigibili, tra forme di autorganizzazione e stato.
Finanziamento pubblico o meno, rappresentanti parlamentari o meno, dal mio punto di vista il compito di un partito comunista oggi è quello di svolgere una funzione organizzativa, di massa, per ricomporre in basso quello che il capitale divide dall’alto e dargli uno sbocco politico.